Sebastiano Augruso
Ricordando
il Professore Sebastiano Augruso
Sebastiano Augruso nacque a Curinga il primo gennaio 1948. Conseguita brillantemente la maturità classica presso il liceo “F. Fiorentino” di Lamezia Terme, proseguì gli studi all’Università ”La Sapienza” di Roma, dove si laureò a pieni voti in lettere classiche discutendo una tesi sulla reinterpretazione storicistica delle origini cristiane in Adolfo Omodeo. Si diede quindi all’insegnamento e dopo esperienze maturate in diverse sedi della Calabria arrivò nell’anno scolastico 1983- l984 nella Scuola Media di Curinga, dove restò ininterrottamente in servizio fino all’anno 2003/2004, quando fu costretto al pensionamento dalla malattia che lo avrebbe condotto alla morte, il 5 gennaio 2005.
Il notevole spessore culturale del suo insegnamento e una sua quasi naturale disposizione dell’animo lo inducevano, congiuntamente, a considerarsi in continua formazione anche sul piano professionale. Curioso delle innovazioni, seppe sempre comunque valutarle criticamente e passarle attraverso il filtro della sensibilità maturata nel rapporto diretto con gli studenti. Alla fine, il metodo di insegnamento da lui adottato era sempre il risultato di una personale assunzione di responsabilità.
A siffatta unità di vita, che legava e fondeva lavoro professionale e convincimenti ideali e anzi religiosi, giungeva per due diverse sollecitazioni. La prima, e più consistente, sollecitazione gli veniva dall’intensa pratica religiosa e dalla frequentazione quotidiana delle Scritture bibliche, che alimentavano la sua consapevolezza morale della storia. La seconda sollecitazione, di radici nobilmente laiche, derivava dalla meditazione di pagine alte di intellettuali che, come Salvemini, si misero a servizio delle plebi meridionali. Anche questi diversi filoni alla fine si fusero nella sua visione della missione educativa quasi come profezia che, sulla scia del profeta Elia, smaschera e abbatte gli idoli della vita pubblica.
Fu perciò tra i promotori più convinti di un insegnamento che favorisse una lettura critica della cultura del territorio da parte degli alunni e, allo stesso tempo e con identico fervore, di un rapporto dinamico e vitale tra la scuola e la comunità curinghese. Il suo arrivo nella scuola di Curinga coincise con l’avvio di una serie di ricerche sul nostro dialetto, sull’insediamento umano nel territorio comunale, sull’edilizia religiosa, sulla pietà popolare. Ma fu proprio lui il più attento garante del rigore con cui tali lavori vennero portati avanti praticamente per un ventennio. Si può ben dire che senza la sua passione, senza il suo contributo di ricerca, senza la sua fatica disinteressata, senza la sua intelligenza unitaria della vita civile e della fede religiosa, non avrebbero visto la luce né L ‘acqua di Gangà, che raccoglie amorosamente tracce e reperti della cultura orale della nostra comunità e dei suoi “tempi”, né Geografie verticali, il libro che canta la trasfigurazione religiosa dello “spazio” comunitario senza menomarne la giusta autonomia civile: entrambi strumenti preziosi e irrinunciabili per definire l’identità curinghese.
Il professore Augruso per molti anni ricoprì nella scuola incarichi di responsabilità, ma la sua ‘specialità’, unanimemente riconosciutagli dai colleghi, fu la cura e la gestione della biblioteca. Promosse l’acquisto di nuovi volumi, si adoperò incessantemente per trasformare la biblioteca da luogo di conservazione dei libri a vero e proprio laboratorio di lettura, di scrittura e di ricerca, ordinò il materiale esistente secondo rigorosi criteri di catalogazione, realizzò praticamente un vero e proprio archivio fotografico coinvolgendo sapientemente decine di alunni. Svolse questo incarico in modo encomiabile, come poteva fare un intellettuale amante dei libri, uno studioso rigoroso alieno dalle improvvisazioni, un insegnante profondamente convinto del suo ruolo di educatore nel senso più pieno e più alto del termine. Curò tra l’altro un rapporto fecondo con la Biblioteca Comunale di Curinga: anche grazie a lui, le due biblioteche operarono in piena collaborazione realizzando pregevoli iniziative, e numerosi e qualificati furono i contributi che egli diede al Piacere di leggere, periodico della Biblioteca Comunale.
Sebastiano Augruso, infatti, fu più che un insegnante e svolse il suo ruolo di educatore anche al di fuori della scuola, con il suo impegno sociale e culturale, con le sue attività di ricerca, con le sue pubblicazioni, offerte sempre come contributo alla riflessione e al confronto fra le idee. Collaboratore apprezzato di numerose riviste, anche di rilievo nazionale (La Madonna del Carmine, Quaderni calabresi, Gioventù protagonista, Quaderni lametini), fu promotore egli stesso di pubblicazioni periodiche (La memoria e altro, Lettere dal Carmelo), Tra i suoi interventi più significativi, oltre a quelli già ricordati: La porta del profeta Elia (Curinga, 1981), Beni culturali e vita di pietà a Curinga tra il XVI e il XVII secolo (La memoria e altro, 1997), Contemplazione, cultura, memoria storica del popolo (Lettere dal Carmelo, 1991).
Appena pochi giorni dopo la sua morte arrivò in libreria, edita dalla Qualecultura, la traduzione in dialetto curinghese del Cantico dei Cantici: ultimo atto d’amore per la cultura della terra natia, “frutto dell’ascolto” (Pino Stancari) di un uomo innamorato di Dio, esperienza mistica e avventura esistenziale al culmine di un percorso di ricerca intensa e appassionata che aveva permesso di recuperare pienamente “lo spazio culturale e la sensibilità in cui il Cantico è stato elaborato” (Paolo Martino).
Molti sono i lavori pubblicati, ma molti sono quelli non pubblicati, perché concepiti principalmente all’interno di un contesto particolare (come nel caso del Gruppo di spiritualità del Carmelo da lui fondato a Curinga) o per quello che molti amici ritenevano un eccesso di rigore scientifico che lo spingeva sempre alla ricerca di nuovi documenti sul tema di cui si stava occupando. Ma, in realtà, non hanno niente di incompiuto né paiono ‘per pochi intimi’ i lavori che via via sono stati pubblicati dopo la sua morte, dalla bella biografia di A. Parisi (nel volume I monasteri basiliani del Carrà, Qualecultura, Vibo Valentia 2007), a Memoria ecclesiae (ivi 2007) che raccoglie saggi e articoli d’interesse pastorale, alle lectio pubblicate dalla editrice Messaggero, Padova 2007).
Sebastiano Augruso fu insomma un educatore nel senso più alto e nobile della parola: esplorava vicende antiche e recenti della comunità e rintracciava documenti della pietas d’un popolo per nutrire il suo insegnamento quotidiano e per trasmettere non tanto o solo nozioni ma la consapevolezza profonda d’una identità e d’una cultura capaci di rispondere vittoriosamente alle sfide del futuro.
…Ricordando il Professore Sebastiano Augruso Il Docente, il Ricercatore, l ‘uomo di Fede
di Francesco Senese
Ho accolto volentieri l’invito degli amici di “Gioventù Protagonista” a ricordare il prof. Sebastiano Augruso dalle colonne di questo giornale, che lo vide, alla nascita, solerte e autorevole redattore.
Gli articoli che vi pubblicò, e dei quali in questo numero si ripropone quello sulla droga, ne sono preziosa testimonianza.
Il professore Augruso è mancato da più di un mese, ma il suo ricordo, la sua presenza sono sempre vivi tra noi, tra i suoi amici, tra i suoi colleghi; anzi più il tempo passa e più sì avverte, tra quanti ne hanno potuto apprezzare le doti non comuni, il vuoto incolmabile da lui lasciato e, allora, il dolore diventa più struggente per l’amico perso, per il compagno di tante iniziative e di tanti progetti pensati ed elaborati assieme, dentro e fuori la scuola, per il valoroso docente sottratto ai suoi alunni. Nello stendere queste brevi note l’emozione è la stessa di un mese fa, quando in tanti lo accompagnammo in Chiesa per rendergli l’ultimo mesto saluto. Non è facile parlare o scrivere dell’amico più caro che non c’è più e insieme con il quale sì è trascorsa una vita, senza che un nodo non ti prenda alla gola.
Tanti sono i ricordi, i pensieri che affollano la memoria: gli anni della fanciullezza, la scuola, gli studi universitari, gli interi pomeriggi e le notti inoltrate – specie quando si avvicinavano gli appelli – dedicati alla preparazione delle materie d’esame nella mia o nella sua stanza alla Casa dello studente di Roma, avvolti in una nuvola di fumo che si levava dai suoi sigari o dalla sua pipa; l’andare, squattrinati, per le librerie del centro di Roma a guardare e a sfogliare i libri senza poterne acquistare alcuno se non raramente; il lavoro, la frequentazione quasi quotidiana, le lunghe telefonate, le ore liete trascorse dinanzi al caminetto, nella sua biblioteca, in mezzo a centinaia e centinaia di volumi, a chiacchierare * e a discutere, da soli o insieme con gli amici, di politica, di libri, di quelli letti, di quelli recensiti dai giornali e dalle riviste, di quelli da comprare e da leggere… Ora è tutto finito. Col professore Augruso se ne è andata anche una parte di noi.
Egli ormai non è più che un ricordo, una memoria. Ma quale memoria e quale ricordo!
* * *
Il professore Augruso frequenta la scuola media a Maida, dove arrivava ogni mattina, insieme con altri ragazzi, col pullman di Foderare intorno alle sette e attendeva per le vie del paese che la scuola alle 8,30 aprisse i battenti e lo accogliesse nelle sue aule (allora a Curinga c’erano solo le scuole elementari); quindi si iscrive al Liceo classico “F. Fiorentino” di Lamezia Terme, dove incontra docenti di grande valore, come i professori di lettere Renato Borrello ed Eugenio Leone, i quali hanno un forte ascendente su di lui. Ma è soprattutto don Saverio Gatti, insegnante di religione, ad influenzare profondamente la sua formazione umana e religiosa: il suo modo di intendere e di praticare il Vangelo lo segnerà per tutta la vita. Lo aiuta a superare la crisi adolescenziale religiosa che lo tormenta. Don Saverio per lui è un maestro di vita. Avrà sempre l’affettuosa riconoscenza del suo allievo.
Conseguita la maturità classica si iscrive alla facoltà di lettere e filosofia dell’Università degli studi di Roma “La Sapienza”. Beneficia, in virtù dei voti ottenuti, di un posto nella Casa dello studente. E’ il periodo della contestazione giovanile, che ha, come epicentro, le facoltà di Architettura, Lettere e Giurisprudenza. Le facoltà vengono occupate per lunghi mesi, le attività didattiche forzatamente sospese. Bebé vuole capire le ragioni di fondo della protesta al di là degli aspetti superficiali e spettacolari. Si dedica allora alla lettura delle opere di Herbert Marcuse, considerato il padre della contestazione.
Approfondisce soprattutto “L’uomo ad una dimensione. L’ideologia della società industriale avanzata” ed “Eros e civiltà”. In questi testi il filosofo tedesco sostiene che sia ad Est, cioè nel sistema comunista, sia ad Ovest, nel sistema capitalistico, la società industriale è totalitaria e disumana, perché ” l’applicazione della scienza e della tecnica ai processi produttivi e l’organizzazione industriale del lavoro comportano inevitabilmente l’utilizzazione tecnico-strumentale degli uomini”, i quali “si muovono (in un universo standardizzato) come ingranaggi, e il loro modo di pensare e di comportarsi si è perfettamente adeguato a questo meccanismo. La razionalità scientifico-tecnica e la manipolazione – conclude Marcuse – si sono saldate insieme e hanno generato nuove forme di controllo e di dominio sociale” (Giuseppe Bedeschi).
La lezione che ne trae il giovane studente universitario è che bisogna battersi per costruire una società che metta al centro la persona, non ne mortifichi la dignità e non neghi la sua identità. Ma per far questo non basta la politica, necessita un’azione più complessa di chiarificazione nella quale siano coinvolti non solo i partiti, ma tutte le forze vive che operano nella società, a diversi gradi di responsabilità, In questo quadro la Chiesa non può non farsi carico in modo particolare dei problemi delle classi più disagiate.
Queste convinzioni trovano alimento nella impostazione de “L’Avvenire d’Italia”, il quotidiano cattolico allora diretto da Raniero La Valle e, soprattutto, in quella del settimanale “Sette Giorni in Italia e nel Mondo”, diretto da Ruggero Orfei e Piero Pratesi. “Sette giorni” guarda ai problemi italiani e internazionali con occhi nuovi, alla luce delle istanze di rinnovamento del Concilio Vaticano II.
Ugualmente lo fanno riflettere le “provocazioni” di Pasolini: la, sua polemica nei confronti dei giovani contestatori, nel cui estremismo lo scrittore vede l’espressione di una nuova piccola borghesia, per cui in una poesia dal titolo Il PCI ai giovani!! giunge paradossalmente a difendere i poliziotti, di origine proletaria, contro gli studenti, figli di papa, borghesi e piccolo – borghesi; il suo farsi paladino dei valori della più aulica tradìzione; il recupero del dialetto come opera di poesia.
Pasolini sarà uno degli autori da lui più amali. Non a caso: “Segno di contraddizione, quest’uomo interpretava con coraggio, nei suoi dissidi, le contraddizioni della società: militante di sinistra, non esita a confessare le proprie radici decadenti; | …| si pronuncia contro la distruzione di valori di cui coglie un senso sacro (la lingua impoverita dalla massificazione, l’ambiente deturpato dalla Speculazione, la vita minacciata dall’aborto). in una volontà di rigenerazione nella quale tende a idealizzare come una genuinità edenica e perduta ora la civiltà cattolico – contadina, ora i diseredati
delle borgate, ora i poveri del Terzo Mondo. Ambientando la crocifissione nel Terzo Mondo o nel proletariato (nei film II Vangelo secondo Matteo e La ricotta), confronta ostinatamente la purezza ideale con l’impura realtà: così questo laico e contraddittorio autore mostra una tensione di natura autenticamente religiosa” (Giovanni Tesio). Segue con interesse le posizioni di Roger Garaudy, l’intellettuale francese che rompe col comunismo dopo l’invasione sovietica della Cecoslovachia nell’agosto 1968 e. dopo essere stato per anni il fedele custode dell’ortodossia comunista, “attacca con veemenza il cosiddetto “socialismo reale” in nome di un socialismo dal volto umano e, sul terreno teorico. …promuove una lettura (del marxismo) in chiave personalistica che lo apre al dialogo e al confronto con le posizioni cristiane…” (Foriero -Tassinari). Garaudy, nel confronto tra le due concezioni dell’uomo – quella marxista e quella cattolica – è “un protagonista di primo piano, assieme a teologi come Rahner e Metz, assieme a uomini della Chiesa come padre Balducci e padre Turoldo, i quali da tempo hanno imboccato la via dell’apertura ai non credenti e del rinnovamento ecclesiale, via che sarà poi formalmente dischiusa e autorevolmente confermata dal Concilio Vaticano II” (Barone), Ma in Sebastiano un interesse sovrasta tutti gli altri: lo studio della Bibbia, sottoposta ad una lettura continua ed approfondita e ad una analisi minuziosa, e il dibattito interno alla Chiesa postconciliare. Il Vangelo e la Chiesa sono per lui ragione di vita. Presso la Cappella Universitaria conosce il padre gesuita Pio Parisi; nasce uno straordinario rapporto di amicizia, che, arricchito da un comune percorso di ricerca intellettuale e spirituale, durerà per una vita intera. Si laurea a pieni voti discutendo una tesi sulla rein-terpretazione storicistica delle origini cristiane in Adolfo Omodeo; quindi inizia la carriera di insegnante prestando servizio per alcuni anni a Ciro Marina, nel crotonese, e a Chiaravalle Centrale, poi ininterrottamente nella scuola media di Curinga fino al pensionamento, cui è costretto dalla malattia, accettata con cristiana rassegnazione e socratica serenità.
Il prof. Augruso aveva una personalità ricca e complessa, una mente versatile e acuta, una intelligenza delle cose pronta e riflessiva. Aveva capacità non comuni nel cogliere, nei fatti, le ragioni profonde che li sorreggevano, ragioni di ordine economico, etico, culturale, ecc.; le sue analisi erano sempre illuminanti, puntuali, penetranti, ricche di connessioni e richiami. I suoi interessi spaziavano dalla musica alla pittura, dalla letteratura alla religione, dalla filosofia alla storia. Lo appassionavano gli studi classici e umanistici, il latino, il greco, la letteratura italiana e straniera, la poesia
contemporanea, Montale, Ungaretti. Ma ancor più lo appassionava, come abbiamo detto, lo studio dei testi sacri, di cui aveva una straordinaria conoscenza; vi era arrivato spinto dalla sua particolare curiosità intellettuale e, più ancora, dalla profonda fede religiosa che lo ha sempre animato. Per queste sue qualità il Vescovo di Lamezia Terme lo ha voluto nel Consiglio pastorale diocesano.
Ma si badi: non una fede bigotta, astratta o “astrale”, come dice lui, scollegata dal mondo, ma tutta calata nella realtà di questo mondo. Nel presentare al pubblico di Curinga, nel giorno di Pasqua 1970, un ciclostilato riproducente due poesie di David Maria Turoldo – “Non io, America…” e “Anch’io, America” – e curato dal Gruppo Giovanile di Presenza Cristiana “Martin Luther King” di Curinga, da lui fondato insieme con altri giovani, dopo aver precisato che “la ragion d’essere del nostro gruppo nel contesto ecclesiale ed umano di Curinga rimane quella della ricerca di un modo nuovo dell’esercizio della Fede”, così continuava: “una Fede non più intesa come scelta destinata a rimanere nell’ambito chiuso ed astrale dei rapporti del singolo col suo Dio e, tutt’al più, come norma utile a regolare i rapporti inter-individuali, ma come categoria spirituale capace di ispirare giudizi su tutti gli aspetti della realtà umana e di fondare un’azione concreta intesa a cambiare la realtà stessa”.
E in un ciclostilato diffuso “Nell’Epifania del Signore 1971” sempre a cura del Gruppo “Martin Luther King” così scrive, a proposito della presenza della Chiesa nelle nostre comunità: “Per lo più nella nostra comunità predomina una visione rigidamente integralista, che fa della Chiesa una società accanto ad altre società, un gruppo umano con la sua filosofia, con le sue istituzioni culturali, col suo partito infine. In molti casi il permanere di un atteggiamento del genere è determinato dal fatto che noi viviamo in una condizione storica nella quale non si è verificato ancora il fenomeno della secolarizzazione, legato a società ad alto livello di industrializzazione, dove la Chiesa ha finito per sempre di svolgere attività che erano suppletive delle carenze della organizzazione civile e ha riscoperto la propria identità più genuinamente religiosa di gruppo che si riconosce unicamente nella fede in Gesù Cristo. In altri casi – non sono pochi – il legame della Chiesa con una determinata organizzazione politica dipende invece dal fatto che essa svolge un ruolo di supporto ideologico nei confronti di forze economiche che hanno bisogno di una tale copertura per imporre i propri interessi alla massa”. Poi continua: “Questa analisi (…) si attaglia in modo particolare alla situazione meridionale dove si assiste ancora all’aberrazione di sezioni di Azione Cattolica usate, in periodo elettorale, come centro di propaganda e che si esprimono ufficialmente attraverso gli organi di un partito politico”.
Queste prese di posizione creano tensione con la Chiesa locale, che si vede contestata, per il suo modo di essere, dal suo interno con argomentazioni rigorose e ispirate ad una visione nuova della sua presenza nella società. Sono i nuovi venti del Concilio che spirano anche su una piccola comunità come quella di Curinga, scuotono vecchie certezze e mettono in discussione vecchie “usanze”.
Il professore Augruso chiama la Chiesa ad un ruolo nuovo, la invita a voltare pagina, a bandire qualsiasi integralismo, a muoversi nella prospettiva della liberazione dei poveri: “Non pensiamo che i cristiani, sol perché cristiani, abbiano in tasca la risposta ai problemi sociali. La Fede non è una analisi economica, un progetto sociale, una ricetta politica. In ogni caso però la Fede non può non determinare una precisa scelta di campo ed una prospettiva: il campo dei poveri e la prospettiva della loro liberazione”. Così conclude in modo netto con affermazioni che richiamano la “teologia della liberazione”: “Il cristiano non può essere interclassista perché davanti all’ingiustizia e all’oppressione non si può essere? neutrali. Il cristiano giudica la storia, le realizzazioni di una civiltà, le sue istituzioni, la sua cultura dal punto di vista dei poveri ed esse gli appaiono positive o negative a seconda che contribuiscano o meno a ‘sciogliere i vincoli del giogo, a mandare liberi gli oppressi, a spezzare ogni giogo (Isaia, LVIII, 6)”.
Date queste premesse, il passo per l’incontro con le istanze più profonde del movimento operaio e socialista, con “l’umanesimo socialista”, era breve. Con il che non si vuoi dire che il professore Augruso abbia aderito o militato in una qualsiasi formazione politica. Non lo fece neppure quando venne eletto consigliere comunale nel 1976 come indipendente di sinistra nella lista del PCI. Si intende semplicemente affermare che egli si riconosceva nelle aspirazioni, nei valori di solidarietà e di libertà propri della tradizione socialista, la quale non si risolve nella storia del partito socialista e nella dottrina marxista, ma comprende quell’insieme di stati d’animo, di aspirazioni, di “sogni ad occhi aperti”, che ha origine la più varia.
Egli si sente piuttosto coscienza critica della sinistra, pronto in ogni occasione a dare il suo contributo di idee e di proposte, lo sguardo rivolto sempre in avanti, al di là degli steccati e delle divisioni più o meno giustificate dei partiti, attento a cogliere i mutamenti intervenuti nei rapporti sociali e nella cultura, intesa in senso antropologico, della nostra comunità. Anche grazie a queste convinzioni e a questa tensione morale si avvicina alle posizioni elaborate dal gruppo che fa capo all’avvocato Francesco Tassone e alle tematiche dibattute dalla rivista “Quaderni del Sud Quaderni Calabresi”.
Sebastiano Augruso avrebbe potuto insegnare almeno negli Istituti Superiori, ma ha scelto di restare nella Scuola Media di Curinga, perché ha voluto mettere le sue energie e la sua intelligenza al servizio di questa comunità. Allo studio e alla storia di questa comunità ha dedicato anni della sua vita, conducendo nella Scuola, insieme con altri colleghi e con gli scolari, ricerche universalmente apprezzate quali “L’acqua di Ganga” e “Geografie verticali”.
Altre pubblicazioni non ha fatto in tempo a vederle, perché la morte lo ha colto prematuramente. In questi giorni è in distribuzione presso le edicole e le librerie la traduzione in dialetto calabrese del Cantico dei Cantici, che lo ha impegnato fino agli ultimi giorni di vita. Era convinto – sono parole sue – della “necessità di creare spazi ad un’attività promozionale della cultura storica di livello sufficientemente serio, legata da forti motivazioni morali e civili al territorio, animata da una consapevole volontà educativa, capace di stimolare un rapporto vitale tra la memoria come coscienza critica del proprio passato lontano e recente e il confronto attivo e problematico col presente”.
Sono queste le ragioni per le quali si fece promotore e animatore della rivista “La memoria e altro” e della “Associazione per la promozione della cultura storica”.
Appare chiaro anche da questi brevi e disorganici cenni che le ricerche degli anni della maturità, sul dialetto, sulle tradizioni popolari,
sulle manifestazioni della pietà popolare, sulla vita delle Congreghe, sul monastero di “Sant’Elia Vecchio” non nascono da dilettantismo superficiale e alla moda, ma sono sorrette, oltre che da una grande passione, da un solido, robusto e vasto retroterra culturale, che affonda le sue radici negli anni del Liceo e soprattutto negli anni dell’università e che è frutto di studi severi e faticosi.
Molte sue ricerche sono nate nella scuola; per lui la scuola viveva e vive se radicata nel territorio: “Cultura del territorio” era il titolo del corso facoltativo che da più anni teneva nel pomeriggio. Era fortemente perplesso sulle più recenti impostazioni di riforma: temeva che si volesse modellare la scuola sulla azienda, mutuandone linguaggio e metodi.
Ripeteva continuamente: “La scuola non è un’azienda, noi non abbiamo a che fare con oggetti, ma con persone; gli alunni non possono essere considerati alla stregua di oggetti, gli alunni sono persone e come tali vanno giudicati, cioè vanno giudicati ognuno secondo la propria personalità, perché la personalità, essendo l’insieme delle caratteristiche individuali, varia da ragazzo a ragazzo e può presentare infinite sfaccettature; pertanto i metodi di valutazione, le impostazioni, le misurazioni della scuola devono essere diversi rispetto a quelli dell’azienda”. Per lui la scuola, se non voleva e non vuole smarrire la sua funzione formativa e critica, doveva e deve mantenere una forte impronta umanistica.
Il prof. Augruso ha esercitato il suo magistero con umiltà, amore e sapienza; ne hanno tratto vantaggio gli alunni, ma anche gli insegnanti, i quali, in anni di frequentazione quotidiana, hanno potuto fare tesoro delle sue conversazioni sempre affascinanti, ricche di umanità e di dottrina.
Egli ha dato lustro e prestigio alla scuola di Curinga; la sua esperienza professionale e umana è motivo di vanto per la nostra comunità.
Considero un privilegio aver condiviso tante esperienze con te, professore Augruso. Gradisci, amico carissimo, queste poche parole, a te offerte, secondo l’uso antico rievocato dal poeta, quale “dono dolente alla tomba”.
‘Atque in perpetuimi, frater, ave atque vale!”