La Croce sul Monte Contessa
I TERREMOTI IN CALABRIA FINO AL 1639
I TERREMOTI IN CALABRIA FINO AL 1639
I principali rilievi della Calabria ( Catena del Pollino, altipiani della Sila, cima di Botte Donato, monte di Tiriolo, Reventino, le Serre e Aspromonte ) negli ultimi 10000 anni si sono sollevati di oltre 1000 metri col conseguente sprofondamento delle fosse marine.
L’Appennino calabrese è sepolto da una corazza cristallina estranea ( disfacimento di antichi sistemi montuosi, probabilmente alpini). La parte estranea superiore, sollevandosi, si è spezzata in più punti critici dando origine alle faglie.
Periodicamente la pressione che solleva la parte superiore del terreno diminuisce bruscamente dando origine così ai terremoti.
Un’altra causa di fenomeni sismici è la strozzatura esistente sull’asse S. Eufemia-Catanzaro.
Molta importanza hanno anche le attività dei vari vulcani, visibili e non, a causa dell’emissione di lave vischiose che raffreddandosi rapidamente in cima provocano le continue esplosioni per espellere il ” coperchio ” già freddo.
ELENCO (31) DEI TERREMOTI IN CALABRIA DAL 316 D. C. AL 1638
– 316 terremoto e distruzione della città di Nicastro .
– 365-369 vasto terremoto in Calabria, Sicilia e basso Tirreno.
– 10/12/968 forte terremoto a Rossano.
– 24/5/1184 terremoto nella valle del Crati.
– Marzo 1230 forte terremoto a Reggio e nella Calabria sud.
– 1310 molte scosse nella Calabria meridionale.
– 25/2/1509 distruzione di molte case a Reggio.
– Gennaio 1544 molte scosse in Calabria.
– 11/11/1561 terremoto rovinoso a Reggio.
– 8-13-16-19/11/1596 ripetute scosse in tutta la Calabria.
– 25/8/1599 ripetute scosse con danni i Calabria.
– 20/7/1609 rovinoso terremoto a Nicastro con danni alla Cattedrale ed al castello.
– 1614 forti terremoti in Calabria
– 1619 ripetuti terremoti in Calabria
– 3/2/1624 terremoti in Calabria meridionale.
– Marzo-Aprile/1626 terremoto a Girifalco.
– 8/6/1634 terremoto a Misuraca, Policastro, Belcastro e Simeri con 10 morti, 45 chiese e 1153 case distrutte
– 27/3/1638 terremoto disastroso a Nicastro e valle Savuto.
– 28/3/1638 replica distruttiva nelle zone di Filogaso, Francavilla Angitola, Castelmonardo, Montesoro, Girifalco ecc.
– 8/6/1638 nuova replica nelle zone di Rocca di Neto, Mesoraca, Petilia Policastro, Longobuco ecc.
(citazione F.A. Cefalì Da Monsauro a Montesoro)
TERREMOTO DEL 1638
Il terremoto del 1638, di forte intensità, forse di origine vulcanica per l’eruzione dello Stromboli superò i diecimila morti.
Dalla relazione dell’accademico Urso si possono dedurre tutti i morti e i danni nelle principali città della Calabria
NICASTRO
uomini morti 538; donne 647; monaci 15; case tutte diroccate; caduto un bellissimo convento dei Domenicani.
SAMBIASE
uomini morti 271; donne 487; bambini 9; case tutte diroccate.
S.EUFEMIA
uomini morti 51; donne 89; sacerdoti 2; monaco 1; distrutta una bellissima chiesa.
FEROLETO
uomini morti 72; donne 98; sacerdoti 1; case tutte distrutte.
GIRIFALCO
uomini morti 27, donne 22, bambini 9, case quasi tutte diroccate.
CASTELMONARDO
uomini morti 12; donne 22; bambini 26; sacerdoti 1; monache bizoche 2; case quasi tutte distrutte; i cittadini rimasti esprimono il desiderio di cambiare le abitazioni in altro luogo
CATANZARO
donne morte 3; sacerdote 1; chiese e monasteri con danni 18; case inabitabili 315; danni al palazzo della Regia, alla chiesa maggiore e alla casa del vescovo.
MAIDA
uomini morti 5; donne 3; bambini
3; case diroccate 92; case inabitabili 66; castello dei principi danneggiato.
CURINGA
bambini morti 1; molte case cascate e molte danneggiate.
S.PIETRO
non vi sono morti ma case diroccate 70.
FRANCAVILLA
uomini morti 16; donne 3; bambino 1; case diroccate 71; case distrutte 64; castello rovinato; le case interessate erano tutte di pietra anche se il paese era conosciuto come terra di “Presta” per il tipo di muratura.
MONTESORO
niente morti; case diroccate 71, chiese 2; molto danno.
POLIA
non vi sono morti; case diroccate 30; case inabitabili 84
MONTEROSSO
nessun morto; case cascate 33, chiese 1; ospedale 1
La seconda battaglia delle Grazie (1860)
Dal 1806 alla battaglia delle Grazie (1848)
Dal 1806 alla battaglia delle Grazie (1848)
Fuggiti il Re e la Corte in Sicilia, i Francesi (1805) non tardarono a scendere nell’Italia Meridionale. Nel 1806 già si erano insediati pacificamente nella Calabria. Nel luglio di quell’anno, cambiamento improvviso di scena: un’armata Inglese getta all’improvviso le ancore nel nostro mare tra le foci del fiume Amato e dell’Angitola. Maida divenne il Quartiere Generale dei Francesi. Il generale Regnier aveva la sicurezza di sconfiggere gli Inglesi, ed invece fu battuto. Gli storici dicono che le popolazioni affacciatesi sulla Pianavidero la battaglia e ne seguirono le sorti osservando dai rispettivi paesi. Non abbiamo notizia documentata di un diverso comportamento dei Curinghesi, tanto più che lo scontro avvenne nella Marina di Maida.Tutti gli altri tentativi insurrezionali fino al 1848, lasciarono Curinga molto calma nel senso che non prese le armi. Gli animi, tuttavia, avevano già scelto la libertà e la democrazia e plaudivano alle Costituzioni elargite e ai regnanti sinceramente disposti a darle. Plaudì a Ferdinando secondo. Insorse, con altre popolazioni, contro Ferdinando 2° fedifrago.Re Ferdinando non stette con le mani in mano. Sul trono voleva restarci. Per togliergli le castagne dal fuoco diede incarico al generale Nunziante e al generale Busacca. Il primo sbarcò a Pizzo con 2.000 soldati borbonici. Il secondo a Sapri.
A Nicastro, Francesco Stocco, comandante della Guardia Nazionale di tutto il distretto, quindi anche di Curinga, saputo dello sbarco a Pizzo, servendosi dei capitani dei vari municipi, mobilitò in un giorno circa quattro mila uomini, pieni di entusiasmo ma disorganizzati. Il campo della Guardia Nazionale venne costituito a Filadelfia dove nessuno sapeva cosa fare. Neanche Nunziante, del resto, sapeva che pesci prendere in attesa che da Napoli gli arrivassero i rinforzi. Lo scosse l’au-dacia di alcuni giovani, tra cui Paolo Vacatello, da Pizzo Marina — papa della mia benefattrice donna Francesca, sposata dott. Catalano Antonio — che nella rada di S. Venere (oggi Vibo Marina) assalirono un veliero per impadronirsi dì 25 barili di polvere e di inutilizzare il restante del carico destinato alle truppe borboniche.
I Nazionali intercettano il piano del Nunziante e lo affrontano all’Angitola. E’ forte ormai di 5.000 uomini con batteria da campo. Gli uomini di Stocco sono appena 300 ed avevano il compito di frenare l’avanzata mentre Griffe da Filadelfia doveva affrettarsi di bloccare la strada consolare tra l’Angitola e Maida. Si combattè all’arma bianca. Il Nunziante però impiegò ben 16 ore per arrivare — lui personalmente camuffato da soldato — al ponte delle Grazie in Curinga. Le cose per i Nazionali potevano andare meglio se il generale Griffe, comandante del campo dì Filadelfia non avesse giocato di coda. Le cose andarono così: il 27 giugno, di buon mattino, Francescantonio Bevilacqua spedì al Griffo un messaggio per avvertirlo delle mosse dei Regi. Griffo lo tenne in poca considerazione. Stocco accentra nelle sue mani il comando, Ordinò, infatti, che tutte le compagnie ripiegassero sopra Curinga per appostarsi nei boschi prima dell’arrivo della colonna dei borboni. Griffo temporeggia con la scusa che la Cassa non poteva essere trasportata seguendo le piste scoscese della montagna. Non lo scossero dal suo atteggiamento neanche le informazioni di alcune donne curinghesi su combattimenti vittoriosi. Restò sordo anche alle sollecitazioni dei giovani più validi. Costoro, mal sopportando la freddezza del Griffo, lo abbandonarono e quasi di corsa raggiunsero gli altri combattenti nel bosco di querce della Madonna delle Grazie. La colonna del Nunziante forte di 4.000 uomini era seguita e protetta anche dal mare. La colonna man mano che raggiungeva i « casini » dei signori li saccheggiava e li incendiava. Incendiò e saccheggiò anche il casino di Francescantonio Bevilacqua il quale, irritato e furibondo, ed anche perché, come sopra ho cennato, sosteneva i Nazionali, con i suoi dipendenti e con alcuni suoi fidi di Curinga si appostò a ridosso della via, nascondendosi dietro le querce in attesa che passassero i Regi. Il gen. Nunziante ostentava sicurezza: fece sostare la truppa tra il Turrino e il casino Bevilacqua per circa due ore e le bande militari suonavano. I nazionali, invece, con fischi, schiamazzi, lazzi e fazzoletti sfidavano gli avversar!. La sfida venne raccolta. Si accese la battaglia e durò oltre tre ore. La truppa del Nunziante che precedeva a file serrate ebbe rilevanti perdite. Non giovò loro neanche l’intervento dei Carabinieri (detti così per l’arma della carabina di cui erano dotati) e dei Cacciatori. Incalzati dai Nazionali furono costretti a ritirarsi e a disperdersi in direzione del mare.
Un vecchio militare dei Nazionali, conoscitore dei segnali del campo avverso suonò la ritirata. Ingannati da quel suono i Regi si diedero frettolosamente alla fuga. I veri sbandati erano 577 e cercavano la salvezza via mare col vapore Archimede. Nunziante, in questa occasione, non fu
all’altezza della sua reputazione: non usò i cannoni all’avamposto dell’Angitola, fu affiancato da comandanti non del tutto capaci e di qualcuno infido, non valutò sufficientemente la forza degli ideali per i quali si battevano gli avversari. Ingannato, infine, dalla topografia della zona, e anzitutto dalla strada che in quel luogo segna grande curva a gomito e cieca, non fu in grado di valutare subito l’entità dello sbandamento. Lo giudicò amplissimo, mentre erano fuggiti soltanto poche centinaia di uomini. Lui stesso sbandato tra gli sbandati, fu trovato in una cunetta che gli permise di restare inosservato ai Nazionali. I Nazionali da parte loro, a giudizio di esperti, non seppero sfruttare convenientemente gli sbagli e le incertezze dei Regi, per cui quella battaglia che poteva essere risolutiva a tutto vantaggio dei Nazionali, diede respiro ai Regi di riorganizzarsi, di ricevere rinforzi navali e di truppe di terra, di trattare con i Nazionali sì che così potettero ricongiungersi con le truppe rimaste nella provincia di Cosenza al comando del generale Busacca. « Se il 27 giugno — fu scritto in quei giorni — ci avesse trovati insieme, non sarebbe rimasto un solo dei soldati di Nunziante ». E del popolo di Curinga: « Bello e sorprendente era il popolo di Curinga. Emigrava intero per la montagna portando tutti gli oggetti delle case. Le donne ci annunziavano che i Nazionali aveano vinto, che fossimo corsi, e che ci fossimo battuti che Maria SS.ma ci avrebbe salvati. Questo grido era in bocca di tutti e noi veramente con quelle parole diventammo superiori a noi stessi ». « Nel bosco della Grazia avvenne il combattimento più impegnato, ma terminato il combattimento le masse, per mancanza di comando non sapeano ove dirigersi ».
Un giudizio abbastanza duro scrive Tommaso Cianflone da Sambiase (da Murai a Stocco, 1898) sull’impetuosità di Francescantonio Bevilacqua: «Se il Bevilacqua avesse avuto la prudenza di non perseguitare gli sbandati, avanzandosi e perciò abbandonando il posto, avrebbe fin da allora salvato la libertà agli Italiani, poiché il resto delle truppe borboniche si sarebbe pure sbandato, senza poter più oltre proseguire» (p. 24).
La battaglia costò molto sangue. Il tributo maggiore lo pagarono i Regi perché proseguivano a file serrate. I Nazionali sono ricordati nella stele marmorea eretta ad iniziativa della Calabria Media e dalla Provincia nel 1873 sulla sponda del torrente la Grazia:«Alla memoria, dei benemeriti e prodi cittadini ANGELO MORELLI FEDERIGO BARONE DE NOBILI
GIUSEPPE MAZZEI ANDREA DESUMMA GIUSEPPE DE FAZIO GIOV. BATTISTA ALESSIO ANTONIO SCARAMOZZINO FERDINANDO (MUSCIMARRO FELICE SALTALAMACCHIA che in questo luogo il dì 27 giugno 1848′ valorosamente combattendo ed immolando all’amore di Patria gli affetti di famiglia le giovani di speranze furono barbaramente uccisi dai militi del fedigrafo Re Ferdinando II questa modesta Pietra pone la Media Calabria riconoscente 1873.
DOMINAZIONE ANGIOINA IN CALABRIA (1265-1442)
DOMINAZIONE ANGIOINA IN CALABRIA (1265-1442)
Nel 1265, dopo la sconfitta e la morte di Manfredi a Benevento, in Calabria ebbe fine la monarchia normanna ed iniziò la dominazione angioina con Carlo d’Angiò, fratello di Ludovico IX Re di Francia.
Con l’avvento di Carlo d’Angiò ritornò, nel 1298, alla guida della contea di Catanzaro, Crotone, Castel Monardo, ecc., la famiglia Ruffo con Pietro II.
Sotto il dominio Angioino la Calabria fu divisa in meridionale ( dall’asse S.Eufemia-Squillace in giù ), Val di Crati ( parte occidentale dell’attuale provincia di Cosenza ) e Terra Giordana ( parte orientale dell’attuale provincia di Catanzaro, Cosenza e Lucania jonica).
Nel 1400 Caracciolo Giovanni, Conte di Nicastro, acquistava da Loffredo Marzano le terre di Maida Laconia ecc.
Nel 1418 Maida e Laconia ritornano in possesso dei Caracciolo con Riccardo.
Intorno all’anno 1420 il regno di Napoli fu teatro di diversi scontri tra i sostenitori di Luigi d’Angiò e la frazione favorevole ad Alfonso d’Aragona, nominato figlio erede dalla Regina Giovanna II.
Ottino Caracciolo che, insieme ai fratelli Gurello e Riccardo, era proprietario dei feudi di Maida e Laconia simpatizzava con gli Angioni; per questo motivo gli furono confiscati tutte le proprietà.
Pochi anni dopo Ottino Caracciolo e Luigi III d’Angiò sconfissero gli aragonesi e per riconoscenza gli confermarono la contea di Maida e Nicastro il 12/10/1427 (10). L’11/11/1427 Ottino nominò suo fratello Luise governatore della contea di Maida e Laconia.
DOMINIO SPAGNOLO IN CALABRIA
(1503-1734)
Alla fine del 1400 Carlo VIII, Re di Francia del ramo angioino, avanzò pretese sul regno di Napoli, occupato dagli angioini prima che venisse loro tolto dagli aragonesi.
Nel 1494 Carlo VIII scese in Italia per conquistare il regno ma dovette ritirarsi rapidamente perché ostacolato da un esercito mandato dal papa, dal Re di Aragona, da Venezia e da Lodovico il Moro duca di Milano. L’impresa fallita a Carlo fu tentata nel 1499 dal suo successore Luigi XII, il quale accampava diritti sia sul regno di Napoli e sia sul ducato di Milano, quale discendente di Valentina Visconti. Luigi XII, alleandosi con i veneziani, si impadronì del ducato di Milano; successivamente si rivolse contro il regno di Napoli trovando come ostacolo Ferdinando, Re di Aragona, imparentato col Re di Napoli. Dopo un primo accordo di spartizione del regno col Re francese, alla insaputa del Re di Napoli, Ferdinando e Luigi vennero alle armi per ragioni di confine il 1504; i francesi furono sconfitti ed il regno restò agli aragonesi di Spagna. Durante il dominio spagnolo il meridione fu teatro di diversi fenomeni negativi il brigantaggio, la violenza di ogni genere, il fanatismo religioso, la corruzione di diversi funzionari del regno, la corruzione dei feudali ed inoltre l’aumento continuo della pressione fiscale. Contrariamente una migliore stabilità politica e una lunga pace portarono gradualmente ad un notevole progresso.
Il 2 Aprile 1507 la gente di Calabria provò molta tristezza per la morte del Santo di Paola avvenuta in Francia.
Nel 1516 moriva in Spagna Ferdinando II, Re di Aragona, lasciando il trono al nipote, per via della madre, Carlo di Austria. All’enorme e minacciosa potenza di Carlo si ribellò Francesco I, Re di Francia, col quale combatté ben sei guerre.
Nel 1528, il conte Borrello ricevuto l’ordine dall’imperatore francese Carlo V di soccorrere la città di Catanzaro fu contrastato da Giacomo Tibaldi , viceré di Cosenza; lo scontro decisivo si ebbe il 12 luglio 1528.
I capitani imperiali inflissero una decisiva sconfitta ai francesi. Nello stesso anno la Calabria fu sconvolta da una rovinosa peste.(citazione F.A. Cefalì Da Monsauro a Montesoro)
DAI MOTI GIACOBINI ALLA PRIMA GUERRA MONDIALE
DAI MOTI GIACOBINI ALLA PRIMA GUERRA MONDIALE
Tratto da: CURINGA: Recuperi di storia e di vita sociale di Antonio Bonello
I Anno 1799
La Rivoluzione Francese ha scosso il mondo. Crollarono tante strutture vecchie. Mosse i popoli che, man mano, presi sottobraccio da alcuni volenterosi, dichiararono di essere capaci di autogoverno. Le piccole REPUBBLICHE si diffusero a macchia d’olio, ma per lo spazio di un mattino. La massoneria soffiava sul fuoco, i vescovi ed i predicatori denunciavano al popolo, perché ne tirasse le conseguenze, che « dalla calata (incursione Gallorum, inimici Crucis Cristi) fides radicitus e-versa, diffusi senza scrupolo gli scandali, è professato il materialismo e che le autorità imposte dai francesi avversano il matrimonio religioso » (Relazione N. 35. La Relazione N. 37 ritorna sull’argomento). La proclamazione della repubblica era accolta con favore ed esultanza da vasti strati della nobiltà antica e nuova, non così dal popolo, il quale trovava modo di abbattere l’ALBERO DELLA libertà per sostituirvi la CROCE.
Così a Nicastro, a Maida, a Cortale, a Filadelfia. Anche a Curinga, in un momento di euforia, date le più volte cennate misere condizioni delle masse popolari, avrà innalzato l’albero della libertà. Quanto è durata l’ubriacatura? Quanti, per letture più estese, sembrano più aggiornati asseriscono che l’ubriacatura giacobina è durata appena un giorno, dalla mattina alla sera. Neanche è stata segnalata nigro lapillo. Nella notevole corrispondenza intercorsa tra la Curia Vescovile di Nicastro e il Marchese di Fuscaldo avente per oggetto Curinga, 2480 abitanti e di pertinenza nello spirituale e temporale dei Buchi di Bagnara, e parroci Domenico Maggisano, Gaetano Senese e Domenico Pompò, neanche minimamente si accenna a comportamenti invisi alla Monarchia Borbonica NapoletanaDi «Politiche combulzioni (sic!), delle quali se ne sperimentano li perniciosi effetti che scuotono la pubblica autorità », si fa cenno in un esposto « humiliter porrecto S. R. M. » nel 1802 dai Notari Giuseppe Calvieri e Sebastiano Devito contro il sacerdote secolare Vincenzo Lo Scerbo. La fraseologia è in perfetta sintonia con tutta la letteratura antigiacobina.
Aggiungasi l’intenzione di un tantino d’incenso perché S.R.M. scagliasse i richiesti fulmini contro il Lo Scerbo. (Cfr. Documenti/fotocopie). Di certo, comunque, la storia registra che la poliforme massa confluita nell’armata realista (detta Armata Cristiana) del cardinale Ruffe — riordinata a Mileto — da Mileto proseguì per Monteleone e Pizzo, quindi i 4.000 uomini proseguirono per Curinga (6-7 marzo 1799). Il Ruffo fu accolto col suono festoso delle campane — come quasi ovunque — e dal popolo festante. Si cantò il Te Deum. L’armata aumentò di alcune unità spinti dalla fame o per regolare così alcuni conti sospesi con la giustizia. Luogotenente nella diocesi di Nicastro per la zona fu nominato il dottore nell’una e nell’altra legge (J.U.D.) don Giovanni Sorrentino con sede in S. Pietro a Maida.Da Curinga proseguì per Maida, Borgia, Catanzaro.
Guerra Mondiale 1915-1918
II 28 giugno 1914, a Serajevo, la pistolettata di Gravilo Prinzip, freddava l’Arciduca d’Austria Francesco Ferdinando ed erede dell’Imperatore. La sua eco raggelò l’Europa. Il 23 luglio fu la guerra: la paventata rissa generale era ormai scoppiata. Si mobilitarono gli eserciti e su sollecitazione dei Pastori di anime, si mobilitarono gli oranti e le forze della carità. Pio X non ha resistito: moriva a meno di un mese dalla «funestissima guerra… alle, cui conseguenze — diceva — nessuno può pensare senza sentirsi opprimere dal dolore». Benedetto XV si premurava di ordinare all’arcivescovo di Colonia: «Soccorri i feriti senza distinzione di religione e di Patria».
In Italia nonostante i disordini provocati dalle fazioni politiche, e, forse, anche per questo, e il terremoto di Avezzano ed i conseguenti grossi problemi, la fazione degli interventisti spingeva il governo a rompere con la Triplice e di passare con le armi a fianco dell’Intesa, previa promessa di ottenere il Trentino, il Tirolo meridionale, Trieste e la Dalmazìa. Io, nascendo (1916), mi trovai da questa parte: mio padre volle che col nome di famiglia mi portassi, almeno negli atti ufficiali di rilievo, i nomi di Trieste Trento. ( II 24 maggio 1915… l’esercito marciava.
Era costituito dalle classi 1876, 77, 78, 79, 80, 81 e dai soldati di leva della classe 82.
I maggiorenni di Curinga erano interventisti. L’Amministrazione attuava le piccole cose ordinarie e spingeva lo sguardo anche al futuro. Le cose ordinarie: acquisto petrolio per l’illuminazione pubblica, manutenzione stradale, sistemazione fontanine di Notar Cola e Tre Canali, acquisto clarini e piatti per il corpo musicale, casse da morto per i poveri, nuove cripte al cimitero (cfr. Delibere).
Le cose straordinarie: carrozza per il servizio postale, pratica per l’acquedotto, mutuo per il costruendo edificio scolastico (lire 132.404). Il lavoro di segreteria aumenta1 e alla vigilia dell’entrata in guerra (22 maggio) il Consiglio Comunale delibera di chiedere un vice segretario.
Dal 24 maggio in poi, all’amministrazione si aggiungono altre gatte da pelare. Primo in ordine di tempo: il medico Pietropaolo Francesco è chiamato per il servizio militare; ne resta uno solo, insufficiente per un comune di cinque mila abitanti; ed anche il secondo potrebbe essere chiamato. Il 28 maggio 1915, con decorrenza 1.6.1915 e per due mesi, viene affidata la supplenza al medico condotto di S. Pietro a Maida dott. Antonio Catalano e per il secondo dott. Antonio Ferraro, medico condotto paesano, si chiede l’esenzione dal servizio militare. La proposta è fatta dal Consigliere Giuseppe Cirianni e accolta dai 13 presenti. Tra gli assenti i consiglieri chiamati per il servizio militare.
Altri problemi ordinari nel periodo straordinario: approvvigionamento di grano, panificazione e distribuzione; sussidi alle famiglie dei richiamati; lievitazione dei prezzi; approntare locali e pagliericci per i possibili profughi; personale per alcuni di questi servizi (confronta Delibere dei Consigli Comunali periodo 1915-18 presso l’archivio comunale). Per la ripartizione dei generi alimentari, «ha fatto quanto di meglio si poteva, con grande disinteresse e commendevole spirito di patriottismo per accontentare le esigenze del pubblico, il maresciallo a riposo Giuseppe Tagliati».
Per i materassi lo specialista in questo genere (veniva chiamato «u matarazzaru») Vono Giuseppe fu Giuseppe. Ricompensa per manifatture e filo lire 8,65. Al Tagliati lire 60, oltre lire 15,45 per spese trasporto, sacchi ecc.
Alle famiglie dei militari era stato demandato il compito e il privilegio dalle Autorità militari stesse di confezionare, dietro ricompensa e fornitura della materia prima, indumenti di lana per i soldati.
Ecco le mercedi corrisposte: sciarpe da lire 1,40 a L. 1,70 ciascuna; calze al paio da 0,50 a 0,70; manichini da 0,40 a 0,80 al paio; ventriere da 1,20 a 1,50; ginocchiere al paio da 0,60 a 0,80; guanti al paio 0,70 a 0,90. (Cfr. F.U. p. 147, sett. 1915). Mons. Giovanni Regine, sollecitato a ciò dalle Autorità predette, ha caldeggiato l’attuazione in tutte le parrocchie della sua Diocesi di Nicastro. Venne attuata in Curinga per l’interessamento combinato dell’amministrazione comunale e dall’arciprete curato don Vincenzo Caruso
Caduti il 27 agosto 1860.
Su una seconda lapide vi sono incisi i nomi dei caduti il 27 agosto 1860.
La terza lapide « Ai Due strenui Siciliani caduti anch’essi nel combattimento del 27-6-1848 dei quali fino i nomi ci ha nascosto avversa sorte in attestato di ammirazione e grato animo I Fratelli Calabresi 1873».
Gli atti n. 52, 53, 55 dei defunti dell’anno 1848 nella Parrocchia di Curinga si riferiscono a questa battaglia ed hanno riscontro parziale — a mio parere — ai nominativi della stele marmorea.
Il nominativo della stele GIUSEPPE DE FAZIO è, a mio parere, errato dovendosi leggere DE FEZZA GIUSEPPE, come all’atto n. 53 che per scrupolo trascrivo e inserisco in fotocopia : « Anno Domini 1848 die vero 27 iunii Curingae Joseph DEFEZZA vir… filius Thomae et Conceptae Fruci aetatis suae ann. 40 caruit omnibus Sacramentis quia occisus a Reggia Truppa in loco dicto Malia, animam Deo Reddidit, cuius corpus ab oeconomo curato d. Petro Bianca benedictum sepultum fuit in Ecclesia S. Mariae Gratiarum. Et in fidem. Vincentius Sgromo archipr. Curatus ».
Se poi è stato ucciso anche un De Fazio Giuseppe questi dovrebbe essere uno dei fratelli di Grazio De Fazio, Sambiasino o Nìcastrese (cfr. Cianfkme, Da Murat a Stocco, p. 21). Se è così i nominativi della stele sono incompleti e dovrebbero completarsi col nominativo Defezza « vir »… Concetta Piraino dal 23.11.1842.
D’accordo sul nominativo di Andrea De Summa, Curinghese come il precedente, ucciso in località Ciceri e seppellito alle Grazie (atto n. 52). L’atto n. 55 si riferisce a d. Giuseppe Mazzei che intervenne alla battaglia dell’Angitola con un reparto di Cosentini.
Fu ucciso dai Regi in località Scammaci. Vien detto di S. Stefano, e marito di donna (dalla graficorretta lo Sgromo è incerto sulle precise generalità della moglie del Mazzei. E’ vero che il Mazzei è di S. Stefano. Siamo d’accordo con tutti gli storici con una doverosa precisazione. Don Giuseppe Mazzei e d. Vincenza Vecchi (Vesci) da Nicastro contrassero matrimonio 2 in Curinga, precisamente « domi » (in casa) per dispensa rev. mae Curiae Episc. Neocastrensis il 20 ottobre 1832. Presenti al matrimonio come testimoni don Saverio Rondinelli e don Francescantonio Bevilacqua e il parroco Ottavio Senese. Presentazione degli sposi: virgines (celibi) « Dominus Joseph Mazzei incola Terrae S. Stephani in Provincia Calabriae Superioris etc. ». Muscimarro è di Montesoro. Sconosciuti i due siciliani. Memorande le gesta del siciliano più giovane, un ragazzo di appena 16 anni. Un soldato con un colpo di sciabola gli tagliò la testa. L’ostessa della taverna Bevilacqua, invece, fu squartata perché aveva osato opporre resistenza. Ma le donne umili non hanno gli onori dei monumenti.
Chi volesse ulteriormente documentarsi è invitato a leggersi le circolari e i bollettini del Comando Generale di Salute Pubblica della Calabria Ultra seconda e del Comitato Centrale. Alcuni bollettini (il n. 5 per esempio) sono datati Curinga, 12-13 giugno 1848, alle ore 5 dì notte.
I caduti della parte opposta (cfr. O. DITO, La Rivoluzione Calabrese del 48 « furono tutti raccolti e fatti seppellire in una chiesa campestre dal Pievano di Maida che ne solennizzò i funerali ». Esclusa la Chiesa delle Grazie dove furono seppelliti i Nazionali, la chiesa cui si riferisce il Dito dovrebbe identificarsi nella cappella dedicata a S. Liberata ubicata, l’unica, tra gli ulivi di Campolungo, dove io celebrai una delle mie prime messe (21 sett. 1942).