La seconda battaglia delle Grazie (1860)

La seconda battaglia delle Grazie (1860)

L’iniziativa per l’unificazione dell’Italia, nel 1860, passa al popolo. Le diplomazie e i governi, infatti, si muovevano con cautela e moderazione. (In Italia erasi costituito il partito moderato con funzioni di freno ai democratici). L’incoraggiamento e l’avvio venne dalla Sicilia dove la rivolta antiborbonica aveva preso forma endemica. Crispi preme su Garibaldi. Si apre il capitolo della Spedizione dei Mille. Novantaquattro mila lire in tasca e armi da museo. Cavour confessa di trovarsi in « un crudele imbarazzo » : non benedice, e sconfessa soltanto a mezzavoce… se son rose, fioriranno.
Le tappe dei Mille: Quarto (oggi Quarto dei Mille), Marsala, Calatafimi e il 30 maggio a Palermo dopo tre giorni di combattimento, Milazzo, Reggio Calabria (19 agosto) con le file ingrossate dalle squadre dei volontari siciliani. Il generale Stocco, rientrato da Malta, s’era messo anch’egli a capo degli insorti Calabresi alle dipendenze del Dittatore. Il 27 e 28 agosto Garibaldi è a Curinga. « Il
popolo mandava grida di gioia. Le donne, portanti rami di palma e di ulivo, gli mossero incontro, come a novello Cristo, il redentore ». « Non gridate viva Garibaldi, ma viva l’Italia! », rispondeva Garibaldi (cfr. Dinami, Garibaldi). Cinquantacinque curinghesi validi alle armi lo seguirono e il 27 agosto combatterono, con le altre Camicie Rosse, contro i Borboni ch’erano dai 12 ai 14 mila uomini con 12 cannoni. Tra i 55 vi era il sac. Vincenzo Michienzi « che ha servito fedelmente da Cappellano nella divisione Stocco contro l’abborrito governo borbonico » (Attestato del gen. Stocco, 29.11.1860). Attestati analoghi furono rilasciati al pittore Andrea Cefaly sia per aver partecipato all’insurrezione del 1848 che alla battaglia del 27 agosto 1860 alle Grazie assieme al fratello Raimondo e a 40 Cortalesi. Il Maggiore Francesco Angherà dei fratelli Cefaly dichiarò: «… mi diedero ospitalità, ma anche cooperarono energicamente e con disinteresse per la formazione del campo insurrezionale sulle alture di Maida ».
Anche stavolta la topografica della zona si prestò a dare aiuto ai Garibaldini, come nel 48 ai Nazionali, ma con esito più favorevole poiché la resistenza opposta impedì al generale Chio, comandante delle truppe borboniche, di unirsi alle altre truppe.
Molti dei più noti quarantottisti si rifecero vivi e con aumentato spirito combattentistico: i Cefaly, Achill
 D’Amico, Tommaso Carchidi che cadde nel combattimento, D’Ippolito, Aquilino Serra, Achille Fazzari e altri.

«Ai valorosi

S A LVATORE GIAMPA’
LUIGI TODERO EUGENIO GIGLIERANDO
TOMMASO CARCHIDI
GIUSEPPE TRANFO
che in questo luogo caddero per la Patria il 2,7-8-1860 mentre cercavano sbarrare la vìa ai soldati dell’ultimo borbone inseguiti dall’invitto Duce dei Mille ».La Provincia riconoscente nel 1873 eresse un ricordo marmoreo, oggi, perché scaduti con gli altri valori anche gli ideali di Patria, affatto valorizzato e mostrato alla gioventù e adolescenza. Neanche i cultori e insegnanti di storia patria sanno mostrarlo!
La famiglia Bevilacqua a perenne ricordo della sosta nella loro casa, sita nella parte alta del paese ed ora in stato di semiabbandono, nel 1960, ricorrendo il centenario, pose una lapide marmorea scoperta dal nipote del Dittatore, Ezio Garibaldi:

«IN QUESTA GASA
IL GENERALE GIUSEPPE GARIBALDI
ACCLAMATO DAL POPOLO DI CURINGA
SOSTO’
LA NOTTE DAL 28 AL 29 AGOSTO 1860
E ACCEDERÒ LA LEGGENDARIA EPOPEA
IMPARTENDO PRECISI ORDINI A FRANCESCO STOCCO PER L’INSEGUIMENTO DELLE TRUPPE BORBONICHE CONCLUSOSI IL 30 A SOVERIA MANNELLI ».
Garibaldi arrivò che non era atteso. Presenti in casa oltre ai Bevilacqua, anche Cefaly al quale « sembrava un sogno vedere seduto nel salone » il Generale. Presente, ma camuffata nei vestiti di un ufficiale garibaldino, la contessa Martini della Torre. Garibaldi la conosceva bene. Quella sera il Generale ricevette Francesco Stocco per dargli le istruzioni per tallonare decisamente la ritirata dei Borbonici che, come si sa, vennero disarmati il 30 di agosto in Soveria Mannelli.
Una conferma del fascino subito dai Curinghesi di Giuseppe Garibaldi la troviamo nella toponomastica: al suo nome è dedicata la principale arteria del paese. Una ultima mobilitazione
garibaldina vi fu in Curinga, appena qualche giorno dopo la morte del Generale: il popolo si raduna in piazza attorno ad un catafalco. Vi sono la banda, i reduci garibaldini, le scuole, i carabinieri, il Consiglio Comunale. Sul catafalco, in mezzo a un trofeo di armi e di bandiere l’effige del Defunto. Due ex ufficiali garibaldini, in camicia rossa, portano la bandiera e la corona dì fiori. Il maggiore Giacinto Bevilacqua, che aveva combattuto al Volturno, depose la corona. Il dott. Dinami pronunciò il discorso, intessuto di veleno anticlericale.

Insurrezione del 1870

Gli appuntamenti alle Grazie del 1848 e 1860 possiamo considerarli non previsti: Curinga si trovò occasionalmente nell’occhio del ciclone e seppe dare il suo contributo. “Nei moti insurrezionali della Calabria del maggio 1870 « per combattere la miseria e l’oppressione di un Re traditore » (cfr. Proclama ai Cittadini soldati, datato Filadelfia 7 maggio ’70), Curinga, invece, fece la prima mossa, e l’insurrezione turbò e sconvolse i piani operativi del Comando Generale della Divisione Militare di Catanzaro predisposti fin dall’aprile dopo i fatti di Pavia e Piacenza e le voci provenienti dalla Provincia e raccolte nella stessa Catanzaro.
Si temevano soprattutto tumulti in città e tra i 700 detenuti. La Prefettura chiedeva una forza oscillante tra i 200-300 uomini poiché due battaglioni dovevano restare sul piede di guerra per essere trasferiti in Sicilia nell’eventualità che anche colà scoppiassero disordini. Gli informatori segnalavano probabili disordini per l’otto maggio. Il 6 maggio, invece, un telegramma del Sottoprefetto di Nicastro al Prefetto di Catanzaro segnalava « la comparsa di una numerosa banda di individui, taluni in abito rosso, che dalle vicinanze di Curinga, con grida rivoluzionarie, avanzava verso Maida». La notizia era allarmante per i possibili sviluppi della situazione già incandescente. « Non appena avevo notizia del fatto di CURINGA», — relaziona il Maggior Generale Comandante la Divisione Sacchi — affida al maggiore Craighero il comando in campo delle truppe per sedare la rivolta. Sera del 6 maggio si muovono per prima la la e 5a compagnia del 69 Regg. Fanteria, per le ore 18 sono in marcia verso Maida un drappello di Reali Carabinieri di Nicastro e Maida al comando di Graziani, e un drappello di 10 uomini del 70° Regg. Fanteria. Per le 22 sono già in assetto di guerra la 4a e 2a compagnia del 69° Regg. Fanteria dirottate da Borgia.
A Maida si contrappone Filadelfia dove c’è il concentramento degli insorti. Il comando generale è nelle mani di R. Piccoli dei Mille che, da Filadelfia, 8 maggio, nomina Capo Supremo di Stato Maggiore Ricciotti Garibaldi. Non comanda soldati propriamente detti: è una massa d’insorti, circa 500 uomini, come può rilevarsi dagli atti del relativo processo presso gli archivi di Catanzaro. Il grosso degli insorti, fin dalla mattina del 6 maggio, s’erano ritrovati a Curinga; cento provenivano da Cortale, i restanti erano affluiti da parecchi dei Comuni del distretto di Nicastro. Potenzialmente erano molto di più. Sono rientrati tutti a casa e non si esposero perché la sommossa si risolse in una disfatta.

ALCUNI NOMINATIVI dei CINQUECENTO imputati per i moti del 1870:

da CURINGA:

Perugini Domenico di Basilio
Perugini Francescantonio dì Basilio
Senese Domenico di Agostino
Servello Vincenzo detto Scannarra
Viannese (?) Francesco di Domenico
Cefaly Giuseppe fu Giuseppe
Cefaly Antonio fu Giuseppe
Cefaly Gregorio fu Giuseppe
Cefaly Giovambattista fu Giuseppe
Ceneviva Domenico
Cortese Pietro
Ciliberto Elia
Denisi Antonio
Furnaro Pietrantonio di Antonio
Foderare Domenico fu Vincenzo Fioti Andrea
Fioti Pietro
Gallo Marcello Je
me Pietro Luppino Giuseppe
Michienzi Bruno
Mosca Deodato Andrea
Mazzitelli figlio di Concetta soprannominata la Morta
Monteleone Giuseppantonio
Pallaria Antonio
Piraino Pietro di Pietro
Serrao Vincenzo fu Bruno Terranova il cafettiere Veneziano Vincenzo

Con gli insorti vi erano anche due sacerdoti: l’arciprete di Francavilla Angitola e il Curinghese Perugino Pietrogiovanni che in quegli anni, in Curinga, era economo dell’arciprete Domenico Gullo, incarico ricoperto fino al dicembre 1889. I duecento di Curinga, fin dal mattino del 6 maggio, dun-que, si dirigevano verso Maida: in testa la bandiera della rivolta, qualche scoppiettata a salve, molti schiamazzi e urla seguendo le piste della montagna. I cento di Cortale, anch’essi via montagna, con l’ordine che in simili occasioni caratterizza le folle tumultuanti, puntavano decisamente su Filadelfia. I Curinghesi decisero anch’essi a mutare destinazione e di diri-gersi al concentramento di Filadelfia. La notizia dell’insurrezione si divulgò in un baleno: contingenti di insorti, armatisi alla men peggio, marciarono verso Filadelfia. Quanti erano? Meno di quanto le voci allarmistiche o gonfiate a proposito fecero credere al Comandante della Colonna Mobile per la repressione dei moti rivoluzionari. La truppa dopo aver pernottato in Maida, alle 4 del mattino del 7 maggio, è già in movimento. Precedeva la colonna la prima compagnia, un drappello del 70° fanteria e dei carabinieri le proteggevano le spalle: appena 122 uomini di gran lunga meglio organizzati degli insorti. Parte degli insorti avevano occupato la parte più elevata del paese, altri s’erano asserragliati nelle case. Snidati e messi in fuga cercavano scampo, per più vie, verso Curinga. La 4a compagnia accertasi della manovra risospinse i fuggitivi entro Filadelfia. Chi lo potette si dileguò, correndo senza meta, nelle campagne, nelle macchie e boschi. L’insurrezione dei Curinghesi era finita verso mezzogiorno del 9 maggio con la cattura degli ultimi sbandati. Le scintille dell’insurrezione avevano, però, trovato esca tra gli operai di Copanello intenti a scavare il traforo della ferrovia, in Serra S. Bruno, Mongiana, Davoli, ecc. Il Comando della Colonna Mobile non aveva respiro. Nel fatto di Filadelfia i morti furono due, i feriti, tra la popolazione, undici, comprese 6 donne e una bimbetta di 5 anni. Un morto nell’esercito. Incolumi tutti i Curinghesi.
Furono addotti da parte dei Capi degli insorti motivazioni di libertà, ma, in realtà le popolazioni si muovevano per scrollarsi i gravami derivanti dalla miseria e dai sorprusi dei ricchi terrieri. Nella speranza che i governi eliminassero le cause reali, i capi militari chiedevano al Ministero della Guerra armi ed armati! (Cfr. Relazione Sacchi, 25.5.1870).