Alfredo Esposito

Alfredo Esposito

Scheda completa di Alfredo Esposto


Alfredo Esposto nacque il 12 luglio 1894 a Curinga da Maria Rosa Mandarano e di Vincenzo. Poiché la madre non aveva la possibilità economica di allevarlo, egli crebbe in un orfanotrofio, l’Istituto Belingieri di Monteleone (attualmente Vibo Valentia) dove, comunque, la donna andava a fargli visita. Nell’orfanotrofio ricevette i primi insegnamenti di musica da parte del maestro Vella, in particolare si dedicò allo studio del pianoforte e del flicornino in Mi bemolle, e da questi, Stabilmente, ricevette anche le prime lezioni di armonia e composizione. Nel 1909 conseguì brillantemente il diploma della scuola media inferiore riportando ottimi voti in pagella in tutte le materie, non solo in quelle attinenti alla musica. Sicuramente continuò gli studi per diventare un bravo musicista e compositore quale era; purtroppo, però, non ho notizie certe sulla formazione musicale del maestro poiché nell’archivio della famiglia Esposito non ci sono documenti che confermano questo passato. La prima esperienza bandistica del maestro Esposito avvenne a Curinga, nella banda locale, dove suonava il flicornino sotto la direzione del maestro Catanzaro, fino a quando quest’ultimo, nel 1914 presentò le dimissioni. Nel 1915 Alfredo Esposito fu reclutato dall’esercito. Sicuramente notato per la bravura nel suonare il flicornino sopranino, fece parte del Reparto Musicale Divisionale rivestendo il grado di Caporale. L’esperienza durò tre anni, per tutto il periodo della I Guerra Mondiale (1915-1918), alla fine dei quali gli furono rilasciate dei documenti di decoro , uno con le tre stellette, l’altro con la Croce al Merito di Guerra, entrambi, consegnati per aver preso parte alla guerra. Si suppone che durante il 1919, il maestro Esposito si trovasse a Vercelli, come confermano le date riportate sulle sue prime composizioni, ma non si conosce il motivo di questo suo soggiorno a Vercelli. Il 1919, quindi, è l’anno in cui il maestro si dedica alla composizione. La sua prima composizione, è Nuova Fiamma, una mazurca datata “10 febbraio 1919 Vercelli”, come risulta dal manoscritto autografo conservato nel fascicolo D dell’archivio Esposito da me catalogato in ordine cronologico. Il 15 febbraio compose il suo primo Valzer dal titolo Tristi Ricordi, sempre a Vercelli, del quale è presente anche la partitura per banda scritta lo stesso giorno, entrambi contenuti nel fascicolo B dell’archivio Esposito. A Vercelli, inoltre, il 17 febbraio compone altre due Mazurche, Anima Mia ed Insistenza trascrivendone anche la partitura per banda. Al ritorno da Vercelli, il Maestro Esposito, preparato e di raffinata cultura artistica, diede grandi saggi di bravura, svolgendo con competenza i suoi ampi compiti. Partecipò alla rifondazione della banda e della scuola musicale a Curinga, della quale egli stesso, divenne maestro negli anni compresi tra il 1920 e il 1923 . Durante questo periodo conobbe Felicia Sorrenti, con la quale si sposò il 4 novembre del 1922. Nel marzo del 1923 si trasferì a Marsala con la moglie perché aveva vinto un concorso di primo flicornino nella banda del suddetto Comune e, in seguito, assunse la direzione della stessa banda. A Marsala, oltre a rivestire l’incarico di direttore della banda e ad occupare il posto di primo flicornino, continuò a comporre una serie di ballate tra il 1926 e il 1929; compose inoltre una serie di Polke, Mazurche, Valzer e Fox Trot, che in quel periodo erano un genere di danza molto in voga. Nel 1928, come compare nei manoscritti autografi presenti nell’archivio della famiglia Esposito, tra Febbraio e Novembre, sempre a Marsala, compose le sue prime tre marce per banda: La Fiaccola, marcia militare; Giorni Felici ed Edenica Marsala, marce allegre. Durante questo periodo nascono le tre figlie del celebre maestro curinghese, Aida, Velia ed Elisa Esposito.Nel 1930 muore Felicia Sorrenti per complicazioni durante il parto e, a causa della prematura scomparsa della moglie, il maestro Esposito, nel 1931 matura la decisione di ritornare a Curinga. Nel 1932 ricevette l’incarico di maestro e direttore della scuola di musica e della banda, come attesta il documento rilasciato dai numerosi allievi che la frequentarono ritrassero gran profitto nell’arte musicale…… “.

Il Maestro si distinse anche, e soprattutto, come Maestro d’umanità, incoraggiando i suoi allievi e dedicandosi anima e corpo a quelli meno dotati, cercando di trame il massimo e portarli a livello degli altri. Molte furono le qualità del Maestro Esposito: era stato, anche, un attento poeta, cantore di momenti suggestivi, e per il suo carisma fu l’idolo della gioventù curinghese. Come raccontano le figlie, il Maestro era un grande patito della musica napoletana e, a proposito della famosa canzone “Anima e Core” di Manlio ed Esposito, il maestro n’era tanto affascinato da alludere ad un rapporto di parentela con il compositore vesuviano (in realtà, in gioventù, si erano davvero conosciuti). Egli ricordava spesso con affetto che la vita è dolce e che vale la pena di viverla bene, come lui ha sempre cercato di fare, contornato dai suoi amici, dalla sua grande passione, la musica, e dalle splendide sue tre figliuole. Proprio perché dotato di sentimenti nobili, d’accordo con il Comune di Curinga, oltre a dirigere la banda da giro nei vari paesini del territorio calabrese, egli organizzò un “Concerto Musicale del Dopolavoro Comunale” che si svolgeva ogni domenica nella piazzetta comunale. Molto interessante è notare la volontà del Maestro nel far conoscere alla cittadinanza Sono molti i suoi lavori e molti gli allievi che ebbe; ha ottenuto tante onorificenze in importanti Concorsi musicali; è stato alla direzione di diverse bande e si è costantemente fatto apprezzare per le sue ottime doti artistiche, per la sua varia cultura e per la signorilità di modi. Nel 1932, il 6 Aprile, con la sua composizione Sulle Onde Partecipò al Concorso musicale della ditta M° P. Fontana a Messina e, ivi, ricevette il Gran Diploma di Medaglia d’oro. Nel maggio dello stesso anno e nella stessa manifestarne ricevette anche una medaglia di bronzo per una sua marcia, il cui titolo non compare nell’attestato rilasciatogli per quest’evento. Un estroso artista. Tant’è che quando non si trovava in concerto, per la sua sete di musica, faceva udire per le vie del paese, la sua voce carica di talento e melodia, suonando con la fisarmonica le numerose ballate da lui composte. Per tanti anni fu effettivamente il perno musicale locale. Oltre alla grande bravura nella Direzione bandistica e ad aver istituito una fiorente Scuola Musicale, nel maestro Esposito è da ammirare la chiarezza e la finezza delle sue composizioni. Di lui non si può parlare senza sentirsi presi dal fascino delle sue stesse produzioni, nelle quali egli ha sentito, ha riportato in note sublimi le passioni, le intime lotte del pensiero, la voce del ricordo, il dolore di un addio, palpiti e sogni nei loro contrasti, che scaturiscono dall’eterna lotta della vita. Nell’attività curinghese, oltre alle numerosissime danze popolari da lui composte, scrisse 14 marce per la banda, tra cui le seguenti marce sinfoniche: Nuova Alba (1933); La Beniamino, Forza Italica (1935); Sensibile Ottobrata (1939); Testolina (1945); Bella Licena (1947); Incorregibile (1947); e le seguenti marce militari, Eroico Episodio, Ai Baldi Fanti del ’34 (1940); Ritorneremo (marcia canzone 1942); Bella ‘Opi (1944); Istantanea (1945). Nel 1948 il M° Esposito ricevette l’incarico di insegnante di musica nella Scuola Media di Nicotera e di riorganizzare il complesso bandistico ed il coro sulla scia del suo brillante passato. Intrapresa la strada giusta della musica e dell’arte, si dedicò con tutta l’anima per raggiungere il nuovo traguardo. Un’ascesa difficile, irtosa, considerando gli anni cupi e tristi che correvano. Era stato il più grande maestro di solfeggio che Nicotera aveva mai avuto, appellativo che accettava con entusiasmo. In grado di unire contemporaneamente quattro cori contrapposti, con voci selezionate tra i suoi allievi: soprani, tenori, baritoni e bassi, riuscendo a sussurrare sensazioni ed armonie tali, come fossero una sola sonorità strumentale50. Nello stesso periodo fu chiamato come direttore di orchestra lirica del complesso bandistico di Limbadi. Un anno dopo, al maestro fìi fatta richiesta di dirigere il corpo bandistico di Capizzi (Messina) dove compose anche una marcia dedicata al luogo, Un saluto a Capizzi (14/09/1949) L’eccellente lavoro che il maestro Esposito svolse nel centro siciliano, fece sì che egli fosse insignito dell’onorificenza di Commendatore al merito dell’Ordine dei Cavalieri della Concordia, sulla proposta del direttore della rivista “Risveglio Bandistico”, prof. Francesco Pellegrino, che inviò al maestro la lettera di nomina nella quale espresse inoltre le sue più vive felicitazioni per la meritata concessione.

Il M° Esposito insegnò alla scuola di Nicotera e diresse il corpo bandistico fino al 1965. Durante il periodo nicoterese compose sei marce sinfoniche: Città di Nicotera (01/07/1948), Majolina (14/05/1950), Gimigliano Festeggia (24/10/1952), Ansietà (29/10/1952), Bella Erice (27/11/1952), Decoro e non Superbia (06/09/1954); tre marce militari: Sempre Vittoria (25/03/1950), Ecco la prova (25/03/1950), Sentiti Ringraziamenti (11/09/1954); ed un inno: Gratitudine (30/04/1961). Nel 1965 il maestro Esposito andò in pensione. In quest’anno a Curinga si erano formate, dopo due lunghi anni di assenza bandistica, due complessi bandistici. Uno diretto dal maestro Domenico Furciniti, ex allievo del maestro Esposito e tuttora attivo in Curinga, e l’altro diretto dal nipote del maestro Esposito, il maestro Felice Pomparelli. Di quest’ultimo il maestro Esposito fu anche supervisore. La cessata direzione delle bande musicali e la fine dell’insegnamento del M° Esposito non coincisero però con la fine delle composizioni musicali.

Proprio nel 1965, dopo un soggiorno a Cerveteri ospite presso un suo parente, il maestro Esposto compose un’opera dal titolo Cerveteri in Festa (04/09/1965) che tutt’ora la banda locale suona. Il maestro era solito dedicare le sue composizioni ai luoghi da lui visitati o nei quali aveva svolto la sua attività. Curiosa e originale è l’ispirazione di un’altra sua opera composta nello stesso anno il cui titolo è Fuoco nell’Ombra (15/12/1965). Stando a quanto affermano le figlie, mentre il maestro si apprestava a riposare davanti al camino in una serata d’inverno, fu colpito dallo scoppiettio del fuoco che si rivelò essenziale per la composizione; ma altrettanto geniale fu il maestro che trasformò un comunissimo rumore in un’opera molto apprezzata. Nel 1966, infatti, durante la festa patronale dell’Annunziata ad Acconia (frazione di Curinga), il Maestro Alfredo Esposito invitò Sua Eccellenza II Vescovo, giunto sul luogo a celebrare messa, a udire Fuoco nell’Ombra che per l’occasione era suonata in suo onore.

Il Vescovo rimase molto entusiasta dell’opera e, quando poi ha appreso che quella musica era una composizione dello stesso maestro Esposito, non poté trattenere la sua più viva e sincera ammirazione per Curinga….” che aveva dato all’arte dei suoi un così forbito compositore. “
II M° Esposito muore a Curinga il 19 maggio 1969.

Lo ricordiamo come un uomo semplice, che ha saputo anche scrivere una pagina preziosa della storia della musica.
Fondo archivio famiglia Esposito – Curinga
Partiture manoscritte delle marce datate composte dal M° Esposito.
1. La Fiaccola, marcia militare, Marsala 18\09\1928.
2. Giorni Felici, marcia militare, Marsala 27\09\1928.
3. Edenica Marsala, marcia militare, Marsala 27\11M928.
4. Sulle Onde, barcarola, Curinga, 14\05\1931.
5. Nuova Alba, marcia sinfonica, Curinga, 08\03\1933.
6. La Beniamina, gran marcia sinfonica, Curinga, 20\10\1935.
7. Forza Italica, marcia sinfonica, Curinga, 28\10\1935.
8. Sensibile Ottobrata, marcia sinfonica, Curinga, 28\10\1939.
9. Eroico Episodio, marcia militare, Curinga, 09\12\1940.
10.Ai Baldi Fanti del ’34, marcia militare, Curinga, 24\12\1940
11.Ritorneremo, marcia canzone, Curinga, 25\07\1942.
12.Bella ‘Opi, marcia allegra, Curinga, 21\I2\1944.
13.1stantanea, marcia militare, Curinga, 19\04\1945.
14.Testolina, marcia sinfonica, Curinga, 13M2M945.
15.Bella Licena, marcia sinfonica, Curinga, 21 \03\1947.
16.Incorreggibile, marcia sinfonica, Curinga, 10\04\1947.
17.Città di Nicotera, marcia sinfonica, Nicotera, 01\07\1948.
18.Un Saluto a Capizzi, marcia militare, Capizzi, 14\09\1949.
19.Birichina, marcia militare, Curinga, 01 \10\1949.
20.Sempre Vittoria, marcia militare, Nicotera, 25\03\1950.
21.Ecco La Prova, marcia militare, Nicotera, 25\03\1950.
22.Majolina, marcia sinfonica, Nicotera, 14\05\1950.
23.Gimigliano Festeggia, marcia sinfonica, Nicotera, 24\10\1952.
24. Ansietà, marcia sinfonica, Nicotera, 29\10\1952
25.Bella Erice, marcia sinfonica, Nicotera, 27\11M952
26.Decoro E Non Superbia, marcia sinfonica, Nicotera, 06\09\1954.
27. Sentiti Ringraziamenti, marcia militare, 11\09\1954.
28.Ceramisina, marcia sinfonica, Cerami, 08\07\1956.
29.Gratitudine, inno, Nicotera, 30\04\1961.
30.Cerveteri in Festa, marcia caratteristica, Cerveteri,04\09\1965.
31. Fuoco Nell’ Ombra, marcia sinfonica, Curinga, 15\12\1965.
32.Stupenda Tempesta, marcia militare, Curinga, 08\01\1967.
Partiture manoscritte delle marce senza data.
1. Allegra Brigata, marcia militare.
2. Fanfara e Marcia, marcia militare.
3. Francescana, marcia sinfonica.
4. Passano Le Legioni.
5. Sul Covello.
6. Gloria Al Fante Italiano
Per gentile concessione delle figlie:
Aida, Lisa e Velia Esposito.
università degli studi di roma “tor vergata”
facoltà di lettere e filosofia
Corso di Laurea in D.A.M.S.
Tesi di Laurea in Storia della Musica
Le bande musicali in Calabria: II caso di Curinga
Relatore:Prof. Agostino Ziino
Correlatore:Prof. Giorgio Adamo
Laureando: Emanuele Cefali

Antonino Maiello

Antonino Maiello

Scheda completa di Antonino Majello


“Antonino Majello nacque a Curinga il 4 ottobre 1908, conseguì la licenza elementare e frequentò la VI classe, allora per molti il più alto grado d’istruzione.Giovanissimo apprese la musica e tale conoscenza gli tornerà utile nel corso del servizio militare che egli prestò a Verona nella Musica Presidiaria del 4° Corpo d’Armata.
Negli anni successivi imparti lezioni di musica e, oltre ad acquisire una appassionata conoscenza delle opere dei grandi autori, compose preghiere e canti religiosi entrati a far parte del patrimonio culturale e delle tradizioni popolari curinghesi.
Lavorò presso il Catasto di Cosenza e di Catanzaro e nel dopoguerra presso gli Uffici dell’Esattoria de! Comune di Curinga fino all’età della pensione. Morì a Curinga il 2 gennaio 1984.
Fin da giovane, pur vivendo in un ambiente isolato e chiuso, dove le novità culturali arrivavano con notevole ritardo, spinto d’amore per il sapere e dotato di buone capacità, da autodidatta, allargò sempre più la sfera delle sue conoscenze.
Persona sensibile, oltre che per la musica, grande passione coltivò per la poesia.
Nella Rassegna Nazionale di Poesia e Saggistica SALPI – Sodalizio Accademico Ligure – tenutosi a Savona nel 1974, risultò secondo classificato.
In altri concorsi di poesia ottenne la Menzione d’onore, di merito o speciale.
Accademico dei 500 per meriti letterari, ottenne medaglie e riconoscimenti vari.
Collaborò alle riviste Calabria letteraria, II Letterato, Nuova Rassegna, La Follia di New York, alle quali inviava di tanto in tanto sue poesie.. Tutta, la sua produzione poetica è raccolta in tre piccoli volumi.

Bruno Sgromo

Bruno Sgromo

Bruno Sgromo

Se una poesia del 1918 che denuncia il malessere della Calabria rimane attuale allora, il male è veramente grave.

Bruno Sgromo nacque a Curinga il 4 ottobre 1885. Completato, come la maggior parte dei ragazzi del suo tempo solo i! corso delle scuole elementari , studiò molto da autodidatta, dimostrando sin da adolescente un’ immensa passione per la composizione poetica, che rivelava uno sveglio ingegno. Le sue rime impeccabili dal punto di vista metrico, sono l’espressione di un mondo affettivo vivido e caldo. Risalgono al 1912 i primi componimenti. Nel 1920 dopo un breve periodo d’emigrazione negli Stati Uniti (New York), determinato probabilmente più dal desiderio d’evasione e scoperta nuove conoscenze che da effettivo bisogno economico, tornò al suo paese natale dove s ‘avviò all’ attività lavorativa aprendo un fornito negozio di tessuti in un locale adiacente la casa dove risiedeva nella piazza cittadina. Questo negozio rappresentò, oltre che la sua definitiva e prevalente attività lavorativa, per molto tempo, il ritrovo di un gruppo di curinghesi che in quel periodo si facevano espressione d’alcuni filoni letterari locali e cercavano di uscire dalle angustie del paese per cercare un collegamento con la cultura nazionale , c’ erano fra questi poeti i fratelli VONO ed il giovane A. Macello. La sua prima pubblicazione risale al 1931, POESIE, un libro che raccoglie tulle le composizioni giovanili e la produzione fino al 1930. L’anno successivo fu la volta de IL MAZZO Di ROSE, un’ accurata ed impegnativa opera che narra in versi la natività di Cristo; i ricavi furono devoluti a beneficio dell’asilo infantile. Fu autore anche di numerose novelle , composte sempre in rima ( Dove il diavolo ha ragione. Il corvo e la volpe. L ‘uomo propone e Dio dispone) pubblicate in gran parte sul PROGRESSO di New York, giornale diffuso tra gli emigrati italiani in america, che dava l’opportunità ad autori poco conosciuti di avere una vasta platea di lettori. Tra le sue poesie alcune, in una limitatissima produzione, sono anche in vernacolo curinghese (Mi limitu, L’annegatu. L ‘assicurazioni). Alcuni suoi versi sono entri nel patrimonio culturale della comunità curinghese, come il canto popolare religioso NINNA NANNA A GESÙ BAMBINO musicata nel 1931 dal maestro Alfredo, canto che ancora oggi in occasione delle festività di Natale, rimane il più diffuso e vicino alla comunità. Le sue poesie, soprattutto, quelle composte in età adulta, dimostrano tutta la passionalità verista dell’uomo insieme, una ricerca quasi ossessiva di un formale perfezionismo. Forti anche i toni dì tristezza che esprimono tutta la disperazione per la scomparsa della primogenita Teresa, morte che lo sconvolse fino al punto di farlo allontanare per due unni da Curinga, quasi a prendere le distanze dai ricordi, ritirandosi a Monterosso Calabro. Di orientamento socialista, fu impegnato antifascista e, tra le sue poesie, troviamo anche temi politico-sociali, come nella poesia più rappresentativa A LA CALABRIA, dove il lettore può costatare che i drammi sociali denunciati 75 anni fa, rimangono ancora attuali, anzi immutati.

Muore immaturamente il 19 febbraio 1942

Piervincenzo Panzarella

Cesare Cesareo

Cesare Cesareo

Scheda completa di: CESARE CESAREO

Nota Biografica: CESARE CESAREO (Vibo Valentia 8.3.1890 – Lamezia Terme 29.10.1977).
Venuto giovanissimo con la famiglia a Curinga si è sempre sentito curinghese di adozione. Il suo credo che lo ha accompagnato per tutta la vita si riassume nel trinomio “Umanità, patria, famiglia”: All’umanità ha dato l’esempio di dirittura morale, alla patria ha dato gli anni più belli della sua esistenza partecipando alla prima guerra Mondiale da dove è ritornato pluridecorato, alla famiglia numerosa (sette figli) ha dato affetto, cure, ed esempio di rettitudine. La sua passione è stata la ricerca storica ed archeologica; nel 1947 è stato nominato, con decreto, ispettore onorario alle antiche e belle arti.
In tale veste ha interessato molte volte la Sovraintendenza alle Antichità con interessanti rilievi personali. Nel 1966 ha pubblicato, per i tipi della “RAPIDA” di FERMO, il volume “Curinga”. In questo elaborato al carattere demologico e socio – economico utile per la conoscenza moderna della zona, si uniscono le conoscenze storico-Archeologiche di notevole interesse.
Per un certo periodo ha avuto la “Corrispondenza” de “II Giornale d’Italia” diretto allora da Virginio Gaida che non disdegnava di pubblicare alcuni suoi elzeveri.
Ha ricevuto dall’Unione culturale Calabrese diversi riconoscimenti e diplomi, (premi nazionali edizioni: 1972, 1973, 1974, 1976). È stato attivo collaboratore di “Calabria letteraria” con la pubblicazione di interessanti articoli di carattere storico ed archeologico.
Si è dedicato anche alla pittura componendo numerosissimi quadri ad olio, a pastello e ad acquarello aventi prevalentemente soggetti paesaggistici e floreali. Anche in questo campo ha avuto molti riconoscimenti ufficiali. La sua modestia era tale che non ha mai consentito l’organizzazione di esposizioni o mostre. Tutte le opere sono state regalate ai figli ed agli amici.
Appassionato ricercatore, ha collezionato numerosi reperti Archeologici donati al Comune di Curinga perché vadano ad arricchire il Museo Comunale del costume di prossima apertura negli appositi locali messi a disposizione dall’amministrazione Comunale per l’interessamento determinante dall’attuale Sindaco Cavaliere Domenico Calvieri. Cesare Cesareo

Don Antonio Bonello

Don Antonio Bonello (Parroco)

Don Antonio Bonello Parroco di Curinga.


ANTONIO BONELLO è nato a S. Pietro a Maida l’8-3-1916 da famiglia povera: il padre era « contadino adusato alla fatica » e prestava « opera bracciantile, scarsamente retribuita ».
Ordinato sacerdote il 20-7-1941, si occupò del Seminario Vescovile di Nicastro fino al 1943, quando fu nominato Cappellano Maggiore della Chiesa Cattedrale di Nicastro. Dal 1945 è Arciprete di Curinga, ricoprendo simultaneamente e per diverso tempo l’Ufficio di Vicario Foraneo.
Pastore zelante, sempre sulla breccia, contro usi ed abusi non cristiani, anche se spesso richiamantisi al cristianesimo, ha dimostrato un polso fermo che nasconde un cuore di padre. Questo cuore paterno svela tutto il suo amore nella grande tenerezza verso « i piccoli » e i bambini. Per questi ultimi ha voluto l’asilo infantile che ha mandato avanti sino a quando non è stato costretto a chiuderlo per mancanza di fondi. Particolare cura ha dedicato alla Chiesa Matrice che ha voluto ricca di marmi e di sculture e dotata di ampio salone. Diligente riorganizzatore dell’archivio parrocchiale, dallo stesso archivio, dagli studi e dai viaggi ha raccolto preziose notizie ed osservazioni, alcune allo stato di semplice raccolta, altre già sistemate in validi scritti, ancora purtroppo inediti. Di Antonio Bonello viene dato finalmente alle stampe almeno il presente volume. Nella premessa l’autore scrive: « Ho fiducia negli altri, perciò mi addentro nel buio ». In questo buio, non solo storico, egli ha acceso una luce, ha tracciato delle piste, non solo perché nel testo passato e presente si compenetrano e si illuminano reciprocamente in una visione cristiana della storia in cui la presenza della Provvidenza non solo non esclude, ma implica l’impegno dell’uomo per la redenzione di uomini e realtà, ma anche perché scopre la direzione del cammino di una vita sacerdotale donata come presenza educante ad una fede incarnata. Di ciò sono testimonianza eloquente la medaglia d’oro consegnatagli al termine della lunga attività di insegnante e le moltissime lettere, piene di stima e di affetto, inviategli da ragazzi in ospedale in occasione di una sua recente malattia. Sono semi che don Antonio continua a spargere a larghe mani nella speranza di una messe feconda.


Don Natale Colafati

Don Elia Pallaria

Don Elia Pallaria

Scheda completa di: D. Elia Pallaria


D. Elia Pallaria Non so perché, ma un giorno, circa due anni prima della sua morte, D. Elia Pallaria mi avvicinò con un atteggiamento piuttosto impacciato che nascondeva la sua timidezza e mi chiese, sottovoce, se poteva farmi vedere qualche sua poesia.
Dopo circa un mese mi consegnò tre fogli con due poesie dialettali e una in lingua, pregandomi di esprimere il mio giudizio, se erano o meno degne di essere pubblicate. Passarono due mesi e D. Elia attese, senza sollecitare una risposta, e, quando lo incoraggiai perché le pubblicasse, sorrise, agitò tutta la sua persona con un movimento a dondolo e una luce gli illuminò gli occhi. Quelle tre poesie erano delle perle, specie le due dialettali. Peccato che non ci siano nel presente volume.
D. Elia avrebbe voluto che mi incaricassi io della pubblicazione… non osò o non ne ebbe il tempo?
È solo questo che mi abilita a scrivere queste note.
D. Elia Pallaria nacque a Curinga il 27/1/1912.
Fu ordinato sacerdote il 29/6/1937 e, dopo una permanenza nella solitària Martirano, fu parroco nomade a Bianchi (1942-45), Accaria (1945-53), Amato (1953-70), Acconia (1970-81), rimanendo ininterrottamente dal 1945 padre spirituale della Congrega del Carmine in Curinga, quasi cordone ombelicale che lo teneva avvinto alle sue origini da cui non seppe o non volle mai sradicarsi. Se ne andò silenziosamente il 22/12/1981.
Un poeta, nella misura in cui è tale, denuda se stesso, pur nella trasfigurazione artistica, anche quando si riveste di forme classicheggianti o di ironia dialettale.
Come potrebbero delle semplici note pretendere di schiudere gli orizzonti di un tempo chiuso; di rassicurare il cuore Impaurito nella bufera o di riscaldarlo nel gelo di dicembre; di accompagnare la solitudine delle ore, dei giorni, degli anni, mentre è pesante l’erta salita; di dare risposte mentre profonde rughe si scavano nell’anima tra contrastanti sentimenti, troppo intensi per non essere riconosciuti, ma mai pienamente accettati?
E tuttavia nel suo cuore di perenne bambino, capace di estasiarsi davanti a semplici gioie e bisognoso di dimensioni autentiche, brilla la luce della fede che si schiude in preghiera:
Inondami o Signore, de la tua calda luce, sì che intera, e ognor presente, io veda l’effimera realtà, che il cuor invaga.
Sicuro, dietro il tuo lume, il mio passo proceda.

Don Natale Colafati

Dott. Fortunato Perugini

Dott Fortunato Perugini

Dottore Fortunato Perugini


Curriculum Vitae del dottore Fortunato Perugini

II dottore Fortunato Perugini è nato a Curinga in provincia di Catanzaro il 15 aprile 1906.

Dopo il conseguimento della maturità classica, iscrittosi alla facoltà di medicina e chirurgia presso l’allora Regia Università di Napoli, ha conseguito la laurea il 26 luglio 1933, discutendo la tesi su “Edema polmonare sperimentale “. Sempre presso la stessa università, dopo la laurea, conseguì i seguenti esami di specializzazione (dicembre 1933): clinica pediatrica, clinica medica, clinica chirurgica, clinica ostetrica, medicina legale e medicina del lavoro, che gli permisero di curare con oculatezza e determinazione le varie malattie. Il dottore Perugini seguì la Scuola del professar Frugoni, celebre Ordinario di Clinica Ostetrica, al cui insegnamento egli si riferì sempre nel lungo lavoro a favore dei moltissimi malati che a lui si rivolgevano con grande fiducia. Dopo la laurea e le specializzazioni, ritornato a Curinga, suo paese natale, iniziò la sua esperienza di medico chirurgo da libero professionista.

» Oltre a compiere la professione medica, fin dal 1937 il dottore Perugini ricoprì più volte la carica di Giudice Conciliatore presso la pretura di Maida.

> Negli anni Quaranta servì la patria con l’Incarico di Capitano Medico presso il Comando Militare di Salerno.
> Dal 1943 al 1945 fu più volte commissario prefettizio al Comune di Curinga.

> Fu primo sindaco della Democrazia Cristiana di Curinga dal 1946 al 1952, con qualche alternanza.
>Il 22 giugno del 1949 fu chiamato a dirigere l’ambulatorio antimalarico ad Acconia di Curinga.
* Dal 1964 al 1965 svolse l’incarico di medico condotto a Curinga.
> Il 26 gennaio del 1976 fu nominato medico scolastico.
> Il 25 maggio del 1940 gli fu conferita la ”Croce di Cavaliere nell’Ordine della Corona d’Italia”.
> Nel 1949 è stato insignito dall’Ordine Militare di San Giorgio di Antiochia “Cavaliere Ufficiale della Stella al Merito “.
> Negli anni 1956-57 fu Priore della Confraternita di Maria Santissima del Carmelo interessandosi alla messa in opera di vari interventi utili per la ristrutturazione del Santuario, fra cui l’integrale ristrutturazione del tetto.
• L’Accademia per lo Sviluppo Economico e Sociale il 13 marzo del 1983 gli conferì la “Confìrmatio Magna a Laboris Fide”, per la sua fede e perseveranza nel lavoro, annoverandolo tra i benemeriti del mondo del lavoro, dell’arte e della cultura.
• II 21 febbraio del 1978 gli conferirono la Medaglia d’Or per il 45° anno d’iscrizione all’Ordine dei Medici della provincia di Catanzaro.
• Fu soprannominato “Medico dei poveri” verso i quali si rivolse sempre con amore, andando loro incontro nelle più svariate difficoltà.
Il dottore Perugini morì a Curinga il 12 Novembre del 1988. Oggi, come allora, tutta Curinga può certamente dire di esser stata servita dall’instancabile sua missione di medico e di persona impegnata nel sociale.
N.B. Il curriculum consta di n. 4 facciate ed è stato redatto dal figlio del dottore, il  Maestro

Sig. Basilio Carlo Perugini

Dott Vincenzo Sgromo

Dott Vincenzo Sgromo

  Vincenzo Sgromo: un esempio da additare ai posteri.

Da tempo ormai presagiva l’evento se le sue attenzioni erano rivolte a ciò che avrebbe lasciato dietro di sé, organizzando perfino le più minuscole incombenze quotidiane, disseminando qua e là su foglietti, posti nei punti strategici, raccomandazioni, indicazioni, suggerimenti, insegnamenti. Aveva pregato la moglie, finanche, di dare alle fiamme alcuni suoi scritti cui aveva atteso negli ultimi anni di vita per conferire un senso agli “otia” , quanto mai indigesti, prescritti, in maniera perentoria, dalle varie, reiterate avvisaglie di decadenza fisica che ne hanno segnato, incrinandola irreversibilmente, la forte fibra. “Bettina, brucia quelle scartoffie” – aveva detto un giorno come per far capire che ormai con le cose terrene, che non avessero l’essenza ed il sapore degli affetti più intimi, non voleva più rapporti e che si era disposto a spiccare il volo verso il mondo dei Giusti.
E così, in una mite mattinata di gennaio, dopo aver sorbito la consueta fragrante tazza di caffè in cui l’ineffabile consorte aveva versato, insieme allo zucchero, i primi e, ahimè, ultimi cucchiaini delle quotidiane affettuose premure, è volato, con una naturalezza senza confini, da una vita all’altra , quasi accompagnato carezzevolmente dalle mani della compagna nell’abbraccio infinito di Tino che si sarà presentato puntuale all’appuntamento, pronto ad accogliere l’impercettibile respiro-sospiro del padre.
Gli era accanto, sicuramente, Ivana, la dolce, tenera fidanzata. Insieme avranno terso dal suo volto trasfigurato le perle cristallizzate della sorgente di lacrime accesa dallo schianto sulla montagna di Antalya, d’onde eran virate, su familiari e amici, nubi perenni di dolore e di pianto che, quaggiù, continuano ancora a straziare le pareti della loro anima da quel melanconico settembre del 1976.
Aveva imboccato così la rampa dei ponti del Cielo la vita normale di un uomo straordinario che ha seminato lungo il suo cammino esempi luminosi di alto sentire con la semplicità che solo le persone grandi riescono a coniugare in ogni circostanza, attingendo a piene mani alle riserve inesauribili del proprio cuore, per tutto l’arco dell’esistenza. Una vita, la sua, ferita più volte negli affetti più cari, ma costellata, per quanto concerne la sfera intellettiva, di successi a catena, di eventi eclatanti ed esaltanti perseguiti, però, con determinazione e sforzi sovrumani e vissuti con estrema riservatezza e semplicità, per la convinzione assoluta che non sono le affermazioni personali a costruire la vera storia di un uomo, ma ciò che egli riesce a fare per il prossimo: il suo intendimento principale è stato sempre di operare bene per il Bene di tutti. In qualsiasi campo sia stato chiamato a dare il suo contributo per circostanze fortuite, per libera scelta, per doveroso ufficio, ha profuso sempre il meglio di sé onorando ogni impegno con puntualità, zelo, coerenza, rettitudine, senso di giustizia, irrorati sempre di palpabile, densa umanità. Egli è stato un uomo che ha dato alla sua vita delle direttive ferree e inderogabili per poter essere magnanimo e accondiscendente con gli altri; un uomo che ha trattato se stesso con rigore e severità per poter essere clemente e disponibile con la gente, ligio ed ossequente al dovere con estrema abnegazione e fino al più alto sacrificio per poter essere indulgente e tollerante con chi gli era, di volta in volta, di fronte.
E soltanto per essere libero di dare quanto più possibile, era estremamente necessario per lui elevarsi fino alla vetta dei valori più sublimi e profondi della vita; era indispensabile innalzare ad
essi altari perenni di culto nel proprio cuore e nella propria mente. Si mise a coltivarli con un impegno e una passione commoventi fin da ragazzo, illuminato dall’esempio del suo maestro delle ultime classi e tacitamente incoraggiato e protetto dall’affetto smisurato della mamma.
Dotato di vivida intelligenza, forte della solida preparazione di base acquisita nella quinta e nella sesta elementare dirette dal maestro Vincenzo Sestito (del quale serberà per tutta la vita un grato ricordo), assistito dalla sua passione per lo studio, sorretto da una eccezionale forza di volontà, incalzato dalla sua insaziabile sete di conoscenza, spinto dal desiderio di migliorare il tenore della sua esistenza e animato dalla speranza di potersi rendere utile al prossimo, con la consapevolezza che solo attraverso la cultura si poteva volgere in positivo il corso della propria storia e di quella dei propri simili, lesse con avidità quasi tutti i libri esistenti in Curinga, presso la biblioteca comunale e presso quelle di famiglia dei molti curinghesi disposti a cederglieli in prestito riuscendo a costruirsi una preparazione ampia e profonda – impresa veramente eroica per quei tempi – in quasi tutti i campi dello scibile umano. Attendeva, sempre da autodidatta, allo studio della letteratura italiana, della grammatica e della letteratura latina, del greco, della filosofia e della pedagogia, della musica, dell’algebra e della geometria, della fisica e della chimica, della storia e della geografia, …. sempre a spese dello svago e del tempo previsto per il sonno, chè anch’egli, come tutti i ragazzi dell’epoca, aveva delle mansioni da svolgere durante la giornata per aiutare la famiglia.
Divorava i classici della letteratura mondiale che riusciva a recuperare e non lesinava tempo allo studio delle lingue straniere. E intanto scrutava l’orizzonte con l’ansia di aprirvisi un varco e superare quei confini che frenavano lo slancio della sua curiosità, che tarpavano le ali alla sua intraprendenza, che impedivano alla sua mente di svicolare dagli angusti tepori del paesello natio e di librarsi nella brezza fresca e rivitalizzante d’un universo culturale più ampio e profondo.
Diede ala alle sue aspirazioni e gonfiò di fiducia la vela delle sue speranze la chiamata per prestare il servizio militare, ma quale non fu la delusione e l’amarezza quando si vide destinato dalla Commissione di leva alla caserma di Vibo Valentia, proprio ad un passo da casa!
Non si perse d’animo ed estremamente convinto che “faber est suae quisque fortunae” (ciascuno è artefice della propria sorte), come sentenziava Appio Claudio Cieco, decise di scardinare il corso degli eventi avanzando richiesta di iscrizione alla scuola per sottufficiali. Fu mandato a Nocera Inferiore e, alla conclusione della scuola stessa, a Bressanone, nel Trentino Alto Adige, come sergente nel corpo degli Alpini.
Un altro colpo di remi alla barca della sua esistenza lo inferse quando chiese ed ottenne di essere inviato in Africa, in quella Etiopia in cui erano in atto le operazioni di conquista dell’Italia. Lì avrebbe potuto esaudire il suo fervente spirito di avventura, essendosi accorto che la vita di caserma si stava assestando su binari di monotonia e di spreco delle risorse intellettuali, spirituali ed umane di cui aveva ricolmi la mente e il cuore.
Trascorre il 22° Natale della sua gioventù ed il Capodanno 1936 con i commilitoni della Divisione Tevere sul piroscafo Lombardia che attraccherà a Mogadiscio qualche giorno dopo. Rimarrà in Somalia fino a luglio prima di inoltrarsi nello stato etiopico occupato completamente appena due mesi prima dalle nostre truppe. Gli viene affidato un contingente di indigeni che dovrà addestrare e formare per contribuire al progresso culturale, economico e sociale di quelle popolazioni e per garantire la loro sicurezza costantemente minacciata da tribù ribelli. L’attività militare e umanitaria non ferma i suoi studi e, fidando sempre ed esclusivamente sulle sue forze, da autodidatta cronico qual era, consegue ad Addis Abeba il diploma di maestro elementare che gli apre le porte della Scuola per allievi ufficiali la cui frequenza si conclude con il conseguimento dei gradi di sottotenente. Inutile dire che era intanto riuscito ad imparare l’amharico e l’arabo per poter formare, in maniera ineccepibile e senza interposta persona, militarmente e culturalmente i soldati reclutati in loco e per comunicare con le genti abissine. Non mancano gli atti di eroismo se
gli vengono conferite quattro medaglie al valore e numerosi encomi e se si merita l’appellativo de “il leone” dai soldati del Comando per le sue temerarie imprese, i suoi intrepidi slanci.
Lo scoppio della seconda guerra mondial e le tragedie che si consumano in ogni parte della terra, e soprattutto in Europa e in Italia, non risparmiano nemmeno l’Africa che, in seguito, verrà scelta dagli anglo-americani come base per sferrare l’attacco mortale alle truppe dell’Asse. Nella primavera del 1941 gli inglesi invadono l’Etiopia e annientano la resistenza dei reparti italiani ed il Nostro, alla testa del suo contingente di fidi Ascari si impegna a rallentare la loro avanzata per permettere alle forze regolari, guidate dal Duca d’Aosta, Amedeo Umberto di Savoia, di organizzare la difesa e fermare l’esercito britannico. Sopraffatto, dopo impari lotta, cade nelle mani del nemico. Comincia per lui un’autentica Via Crucis da un campo di prigionia all’altro dove viene fatto oggetto di soprusi indescrivibili e costretto a subire mortificazioni di ogni genere per l’eticità del suo comportamento e lo sdegnoso e deciso rifiuto di firmare disonorevoli documenti di cooperazione con il vincitore.
La sofferenza più insopportabile per lui è procurata dall’attacco sferrato alla sua mente attraverso la recisione dei canali culturali. Si salva in parte perché, nell’autentica babele di ogni campo di prigionia, egli cerca di dipanare l’ingarbugliata matassa di un’accozzaglia di idiomi che si incrociano in maniera convulsa e confusa. Lo sforzo profuso per la comprensione dei vari linguaggi non solo preserva il suo intelletto dal processo di fossilizzazione programmato dagli aguzzini di turno, ma gli permette di capire e di parlare lo spagnolo, il portoghese, il francese, il tedesco e, soprattutto, l’inglese.
Finalmente, nel 1946, dopo cinque anni e mezzo di prigionia, scontata in gran parte nel Kenia, ed undici anni completi trascorsi in Africa, è libero di ritornare in patria. Prima di partire per l’Italia sente inderogabile il bisogno-dovere di salutare le persone con cui aveva instaurato legami profondi di sincera amicizia in tutti quegli anni. Va ad accommiatarsi anche dalla famiglia di un suo superiore cui è legato da vincoli di sincero, reciproco affetto. Dopo aver salutato, si allontana con andatura decisa per mascherare la commozione struggente che gli scuote l’anima, ma, come nelle favole più belle, si sente rincorrere da un concitato …“Un momento… aspettate un momento!”, pronunciato dalla moglie dell’ufficiale. Lui ritorna sui suoi passi mentre lei entra in casa. Ricompare un attimo dopo e gli consegna il diploma di maestro che egli aveva conseguito alcuni anni prima – e del quale ormai non aveva più traccia – e che ella gli aveva amorevolmente custodito per tutto il lungo periodo della sua prigionia.
È bastato questo barlume, acceso sul mesto grigiore delle incertezze, a riconciliarlo con la speranza e a consentirgli di depositare un velo pietoso e cauterizzante sul cumulo delle macerie, che aveva in fondo al cuore: i sogni, corteggiati nell’incanto giovanile, demoliti tutti insieme da beffardi eventi. Ritornava in Italia fortemente amareggiato ed estremamente deluso, ma , nel contempo, supportato da una cultura immensa e salda perché intessuta, trama dopo trama, ai telai del sacrificio e della costanza.
Si sentiva, comunque, a posto con la propria coscienza principalme
te per non aver derogato mai ai suoi principi morali, per non aver perso di vista nemmeno per un attimo i suoi ideali più nobili, per aver reso onore, in ogni circostanza, ai più alti e sacri valori dell’uomo.

E…via! Si ricomincia!

Dismessa la divisa militare sulle cui spallette luccicavano di freschezza immacolata le tre stellette d’oro di capitano, grazie al suo diploma, recuperato come avviene nei racconti popolati di fate, ed al concorso magistrale, superato con estrema facilità, inizia una nuova, straordinaria avventura in un campo operativo più consono a quelle sue aspirazioni cullate a lungo nel nucleo più intimo del cuore e vagheggiate con fiduciosa intensità dalla sua mente fin dall’età fanciulla: il mondo della scuola, il suo mondo!
Per prima cosa opera la scelta più importante e, come ripeterà sempre con commovente orgoglio, fino all’ultimo respiro, la più indovinata della sua vita, perchè conduce sull’altare la giovane maestra Elisabetta Senese, una donna che con la sua spontanea e aperta esuberanza, fondata su una bontà d’animo, una generosità e un affetto sconfinati e su un’intelligenza ed una perspicacia non comuni, vivrà per lui e a lui dedicherà ogni istante della propria vita.
Vien da sé, per converso, come recita un consolidato adagio popolare, che “da amore… amore nasce”.
Intanto il dott. Fortunato Perugini, durante il suo mandato (1948-1952) di primo sindaco eletto di Curinga nel secondo dopoguerra, gli affida la presidenza dell’E.C.A. (Ente Comunale di Assistenza) sia per le riconosciute capacità organizzative, sia per le note doti di integrità morale e lo spiccato senso di giustizia, sia perché, ammalato inguaribile, al par di lui, di viscerale filantropia e sia, infine, – diciamolo pure – perché la carica doveva essere ricoperta a titolo gratuito e nessuno era volontariamente disposto ad accollarsi grane … pure da “grana”.
Con il consueto zelo e senza perder tempo, si mette all’opera e, come per magia, da uno scaffale riesuma, dopo ben nove anni, un plico contenente le volontà testamentarie del Maggiore dei Carabinieri in pensione Sebastiano Perugino, espresse in data 7 giugno 1940, appena pochi mesi prima della sua morte, avvenuta il 30 novembre successivo. Nel testamento il Maggiore dichiarava la volontà di elargire all’ECA di Curinga parte dei suoi averi, consistenti principalmente in una villa signorile edificata nella zona alta del paese sul prolungamento di via S. Rocco, una cospicua somma in denaro e una consistente collezione numismatica di indiscusso pregio e valore. Tali beni dovevano essere destinati, come testualmente enunciato, alla costituzione di “un Ospizio di mendicità per i poveri più bisognosi del paese”. In subordine, se entro i termini perentori di dieci anni dalla data del testamento l’ospizio non fosse stato creato, tutti quei beni sarebbero stati acquisiti dalla Congregazione della Madonna del Carmelo di cui egli era stato confratello fin dalla nascita.
Dall’esame dei tempi, siamo ormai nel 1949, si evince chiaramente che sarebbe bastato appena un anno perché la volontà primaria del Benefattore venisse frustrata.
Edotto da alcune esperienze negative pregresse che lo avevano toccato da vicino, il neo presidente dell’Ente di assistenza comunale si adopera con lena incessante per bruciare le tappe in modo che la nobile intuizione del Maggiore si concretizzasse al più presto onde evitare che, per preconizzato oblio, si dissolvesse.
Confortato dal sostegno incondizionato del sindaco, dott. Fortunato Perugini, dal tesoriere comunale ed esecutore testamentario, sig. Pietro Gullo, e dal parere favorevole di altri consiglieri, tra cui i sigg. Vincenzo Michienzi, Pasquale Mazzotta e Giovambattista Gaudino, riesce a far deliberare l’istituzione dell’ Ospizio di Mendicità che sarà intitolato al nome del generoso donatore. Per rogare l’atto istitutivo della Casa di Assistenza, viene incaricato il notaio Luigi Cimino al quale, come compenso, viene corrisposta la somma di lire duecentomila interamente sborsata, con generosità, spontaneità e soddisfazione piena, dal professore Sgromo. È il 17 ottobre 1949. Poi, sollecitando la liberalità di amici facoltosi, quali il dott. Bernardo Bevilacqua, il possidente don Ercole Massara di Monterosso Calabro, il proprietario terriero don Carlo Crupi, il marchese Goffredo Stillitani, l’on. Antonio Capua (al quale in seguito il dott. Perugini conferirà, anche per altri meriti, la cittadinanza onoraria), e di tanti altri munifici concittadini, riesce a raccogliere i contributi necessari per avviare, in breve tempo, il funzionamento della nuova istituzione umanitaria senza intaccare il capitale iniziale e senza svilire la corposa collezione di monete antiche con una conversione in valuta corrente. Con l’aiuto di suor Assunta, riesce a mettersi in contatto con le suore Francescane del Signore di Caltanissetta, la cui Madre Generale Annina Ragusa, il primo febbraio 1952, dichiara la sua disponibilità ad accettare dall’ECA, rappresentata personalmente dal professore Sgromo, la convenzione mediante la quale le si
demandava l’incarico di assistenza agli ospiti della Casa “Maggiore Perugino”. Subito dopo egli avvierà la pratica per l’elevazione dell’Ospizio stesso ad Ente morale.
Inserita quest’altra importante tessera nella presente narrazione come doveroso inciso, notiamo che il Nostro, dopo aver insegnato per qualche tempo fuori Curinga, all’inizio dell’anno scolastico 1950/51 ritorna al paese natio giusto in tempo per ricevere il testimone, anche questa volta come un segno del destino, dal suo venerato maestro andato in pensione proprio l’anno prima. L’opera educativa che intraprende in favore dei figli degli amici e dei concittadini, assume il valore di una vera e propria benedizione divina per gli scolari, per le loro famiglie, per la comunità intera.
In primo luogo perché, per quanto riguarda la classe, egli si pone su una naturale linea di continuità con l’opera svolta dal suo indimenticato maestro, del quale aveva assorbito metodo e spirito operativo, per cui dagli scolari non viene avvertito nessun trauma né per la nuova figura di maestro, né per la novità dei programmi didattici (in vigore dal 1945) perché anch’egli non si adagia a seguire alla lettera le indicazioni programmatiche del ministero, ma si adopera con tutte le sue forze per sforarne il tetto al fine di fornire agli alunni l’opportunità di una preparazione quanto mai ampia e la migliore formazione possibile; era consapevole che le conoscenze scolastiche per la maggior parte di essi sarebbero rimaste quelle conseguite nel corso delle elementari e che se gli stessi avessero potuto contare su apprendimenti congrui e solidi avrebbero potuto affrontare con tranquillità le difficoltà che la vita riserva ad ognuno. In secondo luogo la sua stabile presenza in Curinga diventa garanzia di serenità per studenti e genitori in quanto essi avrebbero potuto fare affidamento su di lui, in caso di necessità, per ogni disciplina di studio. Le sue competenze infatti spaziano dalle lingue straniere (inglese, francese, tedesco, spagnolo, … arabo, perfino) alla matematica, dalla lingua e letteratura italiana alla fisica, dalla lingua e letteratura latina alla chimica, alla storia, alla filosofia, alla pedagogia , alla psicologia, alla didattica, alla …
Veramente unico, semplicemente superlativo!
Un luminoso esempio di cultore del sapere universale da additare alle future generazioni!
Inoltre, nel corso della sua attività di insegnante sta costantemente attento a scoprire, coltivare ed esaltare, con la stimolante severità di un amorevole padre, i talenti che si trovano in nuce nei fanciulli per assecondarli nella fioritura e, quando constata che alcuni scolari, pur essendo dotati di buone capacità di apprendimento, appartengono a famiglie che, per le disagiate condizioni economiche, non potrebbero affrontare le spese necessarie per la frequenza dei gradi successivi di scuola da parte dei figli, egli, non solo si impegna a farli studiare lo stesso, offrendosi a prepararli privatamente e in modo gratuito, ma anche a procurar loro i testi scolastici necessari: mira ad avviare, con sensibilità rara e religioso altruismo, il riscatto culturale e sociale dei ragazzi che si dibattono nelle stesse ristrettezze economiche che aveva sperimentato sulla sua pelle a quella stessa età. Le frotte di giovani studenti che affollano a turno e in numero sempre crescente il suo studio (e con essi i curinghesi tutti) cominciano così a “intraveder le stelle” dopo i lunghi secoli bui soggetti alle nefaste tenebre dall’ignoranza.
Ma non è mai soddisfatto completamente.
Ricordo, mentre seguiva orgoglioso le giovani promesse che frequentavano le sue lezioni, di averlo sentito spesso mormorare sommessamente con cruccio: “Anche Antonio…, Vincenzo…, Domenico…, Francesco … erano bravi, capaci, intelligenti e avrebbero potuto . Peccato! È veramente un peccato che i genitori non mi abbiano ascoltato e non abbiano permesso loro di studiare!“
Ad ogni modo, i suoi alunni cominciano ad invadere progressivamente le scuole medie e le superiori dei centri vicini, dimostrando di possedere veramente una marcia in più rispetto agli altri studenti ed egli può essere tranquillamente considerato il maggiore artefice dell’esplosione culturale della comunità curinghese.
Per un riconoscimento ufficiale della sua cultura si era intanto iscritto alla celebre Università Orientale di Napoli e nel 1952 si laurea in Lingue e, principalmente, in Lingua e Letteratura Inglese, discutendo, rigorosamente in inglese, la tesi su Thomas Hardy preparata con scrupolosa dedizione per tutta la durata dell’estate di quell’anno. Resta tuttavia molto deluso ed avvilito perché i relatori non gli consentono di esporre in maniera esaustiva gli argomenti della tesi, con pretestuose interruzioni miranti a frenarne lo slancio appassionato e profondo nelle sue fervide ed elevate disquisizioni sul romanziere e poeta inglese.
Ma egli, di certo, non appartiene alla categoria di quelli che gettano la spugna alle prime difficoltà. Nonostante qualche comprensibile, temporaneo scoramento, come ha combattuto finora combatterà per tutta la vita con indomita forza d’animo e coraggio leonino nell’eroico tentativo di confutare le pessimistiche conclusioni filosofiche dei tanti poeti e pensatori che hanno interessato i suoi studi, rivelandosi in ogni circostanza eloquente espressione dell’aspetto migliore dell’essere uomini.
Risale agli anni immediatamente successivi al conseguimento della laurea la sua collaborazione a “Calabria Letteraria”, la rivista culturale fondata dal prof. Emilio Frangella nel 1952, su cui appariranno alcuni interessanti articoli di storia locale, e al quotidiano “Il Tempo” di Roma.
Si iscrive poi all’Università di Palermo per esaudire (con un’intuizione a cui oggi, alla luce della multiculturalità che sta maturando nel nostro paese, possiamo attribuire senz’altro crismi di profetica lungimiranza) l’aspirazione della vita: conseguire la laurea in Arabo. Ma, non essendogli stati riconosciuti in questa sede gli esami di Lingua Inglese, nonostante avesse esibito la relativa laurea, sia per questa nuova cocente delusione sia per accondiscendere alle attese dell’adorata moglie che richiedeva il suo imprescindibile apporto nell’educazione dei due figlioletti, Tino e Lello, nati nel frattempo, decide di abbandonare l’idea e si iscrive in Vigilanza e Didattica al Magistero di Messina, come, in alternativa, gli propone lei, evidenziatrice dolce e premurosa delle sue più recondite aspirazioni, animatrice limpida e squillante dei suoi più intimi pensieri.
Conseguito con soddisfazione il diploma in Vigilanza e Didattica, esordisce nella carriera direttiva dapprima come incaricato e, superato il relativo concorso, classificandosi ai primissimi posti della graduatoria, a livello nazionale, come Direttore di ruolo, inizialmente nel Circolo didattico di Gizzeria , d’onde si trasferirà al II Circolo di Sambiase e poi al II Circolo di Lamezia Terme – Nicastro dove opererà fino all’età della pensione.
Per alleviare i disagi ai figli iscritti agli Istituti Superiori della Città della Piana, per la comodità di essere più vicino al posto di lavoro e per non derogare al principio della massima efficienza nell’esercizio della professione, assume la sofferta decisione di trasferirsi a Nicastro.
Comincia, ancora una volta, un nuovo ciclo della sua vita, ma la sua signorilità, la sua umanità e tutte la altre nobili prerogative di cui è ricco, restano immutate.
Anche in quest’altra dimensione del suo magistero cerca, in ogni circostanza, di mettere in luce i pregi dei suoi insegnanti e la naturale gratificazione che riserva loro diventa un propellente magico che spinge verso la perfezione l’opera didattico – educativa di tutti, anche e soprattutto, di quei docenti meno motivati per natura, accendendo in ciascuno di essi un’inesauribile carica di stima, di ammirazione, di affetto e di riconoscenza che rimarrà sempre viva ed indelebile nel tempo.
La fonte del suo donare non si affievolisce neanche ora, anzi aumenta la portata della profusione perché accorrono ad attingervi linfa per la loro professione pure i lametini, non solo i maestri del paese d’origine.
In occasione dei concorsi magistrali i Curinghesi principalmente si affid
no a lui per la preparazione e mentre per altri direttori scoccano le stagioni delle pregiate vendemmie d’annata, per lui iniziano i periodi della semina, coronata dalla gratificante soddisfazione di aver contribuito anche col cuore alla sistemazione di tanti giovani maestri: sì, con tutto il suo cuore!
La sua vita ora sembra speditamente incanalata tra spalliere di fiori che sbocciano sui prosperosi sentieri percorsi dai figli e i cui petali, accarezzando la sua mente, ne profumano di gioia i pensieri.
Non immagina, non può assolutamente immaginare i
due fendenti, e la loro spietata violenza, che gli saranno ancora riservati: la tragica, repentina scomparsa in un incidente aereo del figlio Tino con la fidanzata e quella un po’ più lenta, ma sempre efferata e inesorabile, della nuora Rosilde. E tutte due le volte si dovrà chinare per recuperare i frammenti della forza di vivere dai fondali della disperazione. Lo soccorreranno, prima, la nascita del nipotino Vito che rinnoverà, nel nome e nelle premesse, lo zio, e che, con la carezza balsamica della sua presenza, lenirà i bruciori dell’anima, e l’entrata in famiglia, poi, della nuova nuora, che riuscirà a colmare il vuoto lasciato da Rosilde. Al di sopra di queste due suture risanatrici si ergerà, come sempre, la sublime consorte che, per amor del marito, assumerà dimensioni titaniche nel ricomporre a grano a grano la polvere del suo spirito, riconquistato puntualmente dopo ogni caduta, con vigorosa fermezza esaltata dalla biunivoca corrispondenza del vivere insieme, in perfetta sintonia, in simbiosi assoluta.
E non si può sottacere che anch’ella è aggrappata alla stessa barca di dolore!
Negli ultimi tempi, ormai in pensione, sostenuto sempre amorevolmente dalla sua Bettina, alquanto rappacificato con la vita, si può gustare le gioie di cui lo ripagano i diletti nipoti per il loro procedere sicuro e proficuo sulle orme dei figli.
Si sta predisponendo a vivere intensamente il primo importante traguardo della vita del nipote primogenito Vito, la conquista della laurea, quando il suo cuore cede. Se ne va abbandonandosi, pago, tra le braccia amorevoli della moglie e in quelle infinite del figlio, accorso, per certo, dall’Alto.
Se ne va serenamente e il supremo esalar del respiro avrà senz’altro dissolto ogni traccia di rimpianto. Di quell’unico rimpianto, di cui si crucciava spesso negli ultimi tempi, quando ancora valutava l’ultimo atto della sua esistenza con la visione finita di essere mortale: il distacco dall’impareggiabile compagna della sua vita. Rimpianto che, ripeteva, sentiva alleviato alquanto dalla consolazione di saperla forte e battagliera in nome suo, e, come non mai stracolma di intime e nobili risorse che si effondono in ogni direzione, intrise sempre di calda umanità. Rimpianto, diceva, mitigato ancora dalla consapevolezza di saperla circondata da affetti limpidi, saldi, completi in ogni basilare componente.
È il 17 gennaio 2004.
Sono trascorsi appena poco più di cinque anni da allora e sembra un’eternità, tanto immenso è il vuoto che avvertiamo intorno a noi!
È trascorso più di un lustro da quel triste giorno e sembra ieri, tanto è viva la sua presenza dentro di noi!
E, perciò, non c’è stato alcun distacco!
Per la perfezione della dimensione eterna acquisita egli è in ogni istante vicino a tutti e a ciascuno dei suoi cari. Di ognuno, di sicuro, segue, precede, affianca, vive senza soluzione di continuità, i gesti, gli atti, i pensieri, i palpiti del cuore.
Nessun rimpianto, dunque!
Da parte mia un grazie costante ed infinito accompagnato da un atto di contrizione per tutto quanto di grande e di buono si era prefigurato per me e non è stato.
Dal profondo del cuore, Direttore Sgromo!
Dalle radici dell’anima, Maestro!
Era nato a Curinga il 23 marzo 1913.

Martino Granata

Dott. Sebastiano Serrao

Dott. Sebastiano Serrao

Scheda completa di: DOTT.  SEBASTIANO SERRAO

ALLA C I T T A’ Di GALATINA CHE APPREZZA CHI LAVORA NEL CAMPO DEL SAPERE QUESTO TRALCIO DI ALLORO CHE ALLE SUE AUREE DEVE LA VITA CANTO DELL’ANIMA CRISTIANA DEL P. SEBASTIANO SERRAO DELLE SCUOLE PIE SUO CITTADINO ONORARIO PER ESIMIE VIRTU’ PRESCELTO NELL’ALBA DELLA SUA RINASCITA OFFRE IL D O T T O R SEBASTIANO S E R R A O
Vissuto all’ombra del Santuario, nella radiosa Religione di Cristo, fu seguace delle orme del Calasanzio, ed attinse il sapere alla fonte di quelle Scuole Pie, che nei tempi critici del Risorgimento Italico, educavano il cuore dei giovani all’amore di Dio e della Patria» inculcando negli animi le più belle virtù morali e sociali, ed arricchendo le menti, con. tesori di dottrine.
Egli, seguendo il mandato, impostogli dall’Ordine, impartiva, con paterna cura, questa sana e meravigliosa educazione di mente e di cuore ad una larga schiera di discepoli, che occuparono poi tutti posti eminenti nell’agone sociale e letterario.
A 25 anni era Direttore Degli Istituti Classici e Tecnici di Galatina di Lecce, che lo prescelse per suo cittadino onorario, in merito ai pregi che adornavano la sua persona, sia nel campo del sapere, che in quello sociale.
Ma gli ingegni precoci ben presto si spengono ed egli pagò il tributo della vita alla Natura in verde età, vittima dell’immane lavoro, compiuto in breve tempo.I vincoli de  sangue che mi legano allo scrittore, mi vietano di far la sua biografia, per quel riserbo, doveroso, nel giudizio delle proprie cose. Ho creduto riportare, in questa prefazione, brevi cenni della sua attività nel campo sociale e scientifico, perché non restasse interamente sconosciuto al lettore.
Curinga Agosto 1933

Dott. Sebastiano Serrao

Farmacista Elisabetta Anania

Farmacista Elisabetta Anania

Scheda Completa di: Elisabetta Anania (Farmacista)


Elisabetta Anania nasce a Curinga il 9 ottobre 1906 frequenta le scuole superiori a Catanzaro conseguendo la Maturità Magistrale e successivamente quella del Liceo Scientifico:Iscrittasi alla facoltà di Chimica e Farmacia alla Regia Università di Napoli, si laurea nel 1932, iniziando ad esercitare la professione prima ad Olivati e poi a Curinga fino al 1973.E’ stata la prima donna laureata nel nostro comune e, probabilmente, anche la prima nella nostra provincia.
Ha svolto la sua professione con competenza maturità, senso del dovere, disponibilità verso tutti, in particolare nei confronti di coloro che apparivano più bisognosi di cura ed attenzione, per questi ultimi spesso si prodigava gratuitamente, offrendo la sua competenza medica e il suo sostegno umano e spirituale, fondato su una profonda fede ed ispirato ai principi francescani, tanto che il suo motto era ” dum tempus habemus operemur bonum” “finchè abbiamo tempo opereremo il bene”
Muore a Curinga il 4 aprile 1972
Dott.ssa Elisabetta Anania

Farmacista