Il Monastero di Sant’Elia Vecchio
Il Monastero di Sant’Elia Vecchio
II monastero di S. Elia “Vecchio” si trova in località Corda (a circa 400 m s.l.m.), pochi chilometri dopo il paese di Curinga, sopra una grande radura sulla quale affiorano banchi rocciosi.
E’ protetto a nord da una fitta pineta, mentre dagli altri lati si affaccia su una verde e profonda vallata, ai piedi della quale scorre il fiume Turrino.
L’ampio panorama che si gode dal S. Elia comprende buona parte del golfo di S. Eufemia e quindi della piana di Lamezia, da sempre una zona strategica importantissima, essendo il punto più stretto per l’attraversamento della Calabria dallo Ionio al Tirreno (la distanza tra i due mari è di circa trenta chilometri, e la cresta di displuvio si abbassa fino a 280 m s.l.m.).
La storia del S. Elia “Vecchio” si ricostruisce molto male attraverso le pochissime fonti scritte, ma con la lettura stratigrafica delle murature e con i vari confronti con analoghe strutture di contesti italiani e stranieri, è stato possibile formulare una attendibile cronologia assoluta delle varie fasi del monastero.
II monastero è composto da una grande area interna di forma rettangolare, con i lati corti a nord e a sud, e da due corpi di fabbrica esterni, uno sul lato ovest, l’altro sul lato sud.
La struttura comprendeva anche la presenza di un
piano superiore, del quale restano ormai ben poche tracce sugli elevati dei muri perimetrali.
Praticamente tutti i muri (l’unica eccezione è costituita dal vano cupolato) si trovano in pessimo stato di conservazione, e diverse aree sono ancora da scavare. In totale si contano attualmente quattordici ambienti (Unità Funzionali)”.
Il primo corpo di fabbrica è costituito dalla chiesa caratterizzata da un’unica navata rettangolare e da un vano absidale quadrato.
Quest’ultimo, oggetto del recente restauro, rappresenta senz’altro la parte più importante del monastero, sia perché ci è giunto praticamente integro, sia perché contiene gli elementi architettonici più importanti.
Si tratta di un vano quadrato (circa m 5×5), di proporzioni accentuatamente verticali, sul quale, mediante pennacchi sferici, si inscrive un tamburo circolare sormontato da una cupola in pietra.
Sulla cupola si trovano ancora i resti della lanterna rettangolare, in pietra, che circondava l’occhio circolare e svasato ad imbuto.
La luce entrava attraverso due coppie di finestre perpendicolari tra loro, poste sui lati est e ovest. I lati del quadrato sono caratterizzati dal differente spessore, maggiore per il lato nord , che riceveva le spinte del terreno retrostante, minore per quello sud nel quale si apriva un grande arco tamponato in epoca successiva. Internamente il rapporto tra quadrato di base e tamburo cilindrico è sottolineato mediante una fascia di blocchi in pietra arenaria, finemente scolpiti con un motivo a treccia convessa con bottone centrale.
Il punto di collegamento tra la cupola ed il tamburo è anch’esso sottolineato
da un’altra fascia di blocchi dello stesso materiale, scolpiti con modanature. Nella navata, della quale resta solo il perimetro, si notano le tracce di tre aperture, una posta sul lato corto sud, le altre due tamponate successivamente, sul lato est. Un’altra apertura sul muro est della navata è quella che, attraverso una coppia di scalini, costituisce l’accesso ad una cappella nell’area interna.
Lo stemma in pietra, il cui disegno è sconosciuto sui testi di araldica più importanti, è certamente il frutto della fusione degli stemmi di due famiglie nobili, in seguito al matrimonio di due rampolli”.
La costruzione di un grande monastero, in questa zona, potrebbe essere collocata cronologicamente alla fine del IX sec., all’epoca della grande controffensiva bizantina contro gli arabi “, seguita da una riorganizzazione del territorio anche dal punto di vista ecclesiastico.