Tra Brindisi e Filastrocche

Tra Brindisi e Filastrocche

E quando . . .

E quando si parla di Mastri a Curinga e di Curinga, il riferimento è rivolto verso quelle persone che hanno avuto alte competenze lavorative in un determinato mestiere.
Mastri Falegnami, Mastri Calzolai, Mastri Fabbri, Mastri Muratori, Mastri Sarti, Mastri di ogni genere e natura; tutti di massima levatura professionale nonostante alcuni, avessero solo frequentato le scuole elementari e, non sempre fino alla quinta classe.
Qualcuno la ha frequentata anche fino alla sesta, e quelli che lo hanno fatto sono stati considerati sempre di più elevata caratura professionale rispetto ad altri che, nonostante ignorassero determinati fatti del mondo, sapevano invece operare solo nei loro mestieri con onestà e tanta destrezza.
Molti di questi sono ormai scomparsi, ma sembra fare un torto a tutti quelli che, oltre alla decantata professionalità, dimostravano anche doti innate in altre attività, soprattutto mentali che, lasciavano spesso sbalorditi anche quelli che di studi e di scuola hanno vissuto.
C’è stato chi oltre ad essere Mastro Sarto, si è dedicato alla musica suonando divinamente uno o più strumenti musicali e facendo successivamente di questo la sua nuova professione come ad esempio il prof. Domenico Furciniti che ha creato una sua Banda con oltre quaranta elementi;
Mostro Felice Pomparelli, ha percorso lo stesso iter trasformandosi da mastro Calzolaio in Maestro di Musica, anche lui diventando Maestro e direttore di una Banda Musicale di 30-40 elementi;
 Mastro Giuseppe Senese, Mastro Calzolaio che ha scritto e pubblicato, curato dal figlio prof. Francesco, una antologia di tutte le sue poesia dialettali;
Mastro Giuseppe Vono, eccellente Sarto divenuto, assieme al fratello Giovambattista Vono, anche lui Mastro Sarto, uno dei più famosi poeti locali con pubblicazioni che hanno ricevuto vari riconoscimenti;
ed ancora, Mastro Giovambattista Grasso, Calzolaio, ma ottimo suonatore di di chitarra e Pianoforte, che suonava divinamente in occasione di funzioni religiose nella chiesa dell’Immacolata;
molti altri si cimentavano e partecipavano attivamente alla vita sociale facendo parte delle rappresentazioni teatrali che annualmente si svolgevano in Curinga.
Erano queste manifestazioni la conferma delle loro affabilità ed inclinazioni artistiche, diventando anche attori, registi e scenografi del tutto improvvisati, ma sempre all’altezza della situazione.
Ne voglio questa volta ricordare uno che, non a tutti era noto e non tutti conoscevano sotto un aspetto artistico che gli era solito manifestare in compagnia dei suoi amici e in occasiono di convivialità come un pranzo tra amici, che era solito tenersi soprattutto in occasione della uccisione del maiale o del matrimonio di qualche amico o parente, nelle cui occasione era quasi sempre presente.
“Mastru Nicola Currado” svolgeva il mestiere di falegname che ha appreso fin da piccolo, seguendo ed andando “dal Mastro”, una persona esperta e di fiducia, al quale i genitori affidavano il proprio figlio.
Non aveva avuto la possibilità di frequentare le scuole fino in fondo, raggiungendo magari la quinta classe elementare, ma si fermò purtroppo, alla quarta elementare.
Denotava fin da ragazzo una spiccata propensione verso le rime dialettali costruite all’impronta, ma questa sua dote, non gli dava certamente da mangiare né tantomeno i suoi genitori avevano capito e favorito questa sua vocazione naturale.
Si lavorava di mestiere, ma si lavorava anche in campagna, ed era questa la vita che un qualsiasi mastro conduceva all’interno del paese.
L’Orto, la Vigna, l’Uliveto, il grano, e il mais, erano le cose che assorbivano gran parte del tempo, compreso quello dedicato alle feste comandate.
Non c’era riposo giustificato in certe famiglie, anche perché erano tempi duri, con una guerra appena finita, ed un’altra che si andava a combattere dopo poco più di vent’anni dalla conclusione della prima.
L’imperativo per tutti, era lavorare, e in questo bisognava darsi da fare fin dalla giovane età. Mastro Nicola fu uno del Mastri Falegnami che, a differenza di molti altri, sapeva usare il Tornio per lavorare il legno, ed in questo, in Curinga, erano solo in due: Mastro Nicola Currado e Mastro Nicola Rondinelli, anche lui Mastro Falegname ed entrambi costruttori di Ruote per Carri trainati da animali (Buoi, Asini o Cavalli.
Erano gli esperti della zona che sapevano costruire le ruote del carro, partendo da un pezzo di legno grezzo che trasformavano in un robusto mozzo e successivamente, modellando i raggi e fissandoli su di esso, si trasformava  in una ruota per i carri trainati dai buoi ed usati nei trasporti di merce, o in ruote da carrozze per signori, utilizzati proprio da questi ultimi per spostarsi nelle loro tante proprietà.
Se questo fare era da mestiere, la dote di costruire rime all’impronta, non era certamente per tutti e possibile da imparare a scuola, ed allora, nei pranzi conviviali, si sfidavano tra compagni ed amici nei brindisi augurali dell’uno nei confronti dell’altro.
Non aveva rivali in questo rimare spontaneo perché, in una frazione minima di tempo, il brindisi di mastro Nicola Currado, veniva fuori in modo scorrevole, allusivo e comprensibile a tutti gli astanti.
Si creavano delle vere e proprie sfide, soprattutto difronte ad un buon bicchiere di vino, per cui, quando di questi matrimoni faceva parte anche mastro Nicola come invitato, sorgevano sfide insperate e gare, senza il nulla in palio, per vedere chi riusciva a fare il brindisi più spiritoso e chi riusciva a costruire, in rima, la più lunga e significativa filastrocca adatta al momento.
In una di queste occasioni, un noto letterato del luogo, volle gareggiare proprio contro di lui nel costruire brindisi rimati.
Non ci fu gara perché, alla fine, il nostro letterato, constatata l’abilità, la celerità e l’esattezza dei vari brindisi proposti da Mastro Nicola, sorpreso oltre ogni limite, ebbe a chiedergli se avesse o addirittura nascondesse qualche metodo particolare nel costruirli. La risposta fu semplice e immediata: in queste cose, non ci possono essere né strategie né metodi particolari, ma sono doti naturali che se la persona possiede bene, altrimenti, trova le stesse difficoltà che avete trovato voi oggi nel costruire frasi e brindisi in rima e in dialetto curinghese.
Era proprio così perché, per quel poco che ho potuto conoscerlo, essendo cognato di mio suocero, quando ci incontravamo mi chiedeva solo una parola, a mia discrezione, ed era subito una frase di senso compiuto e rimata. Erano e sono veramente doti non comuni insiti in determinate persone, e Mastro Nicola Currado, era una di queste.

Quando i Mastri diventano “Artisti”

Quando i Mastri diventano “Artisti”

E quando . . .

E quando l’arte della poesia si fonde con l’arte profusa nel proprio mestiere, allora il Mastro, non può essere facilmente dimenticato.
È il caso di due Mastri Sarti, che hanno molto in comune tra loro, soprattutto la passione per la poesia che li accomuna più di quanto essi siano già accomunati nel loro lavoro nonché nella loro vita familiare. Sono i fratelli Giuseppe e Giovan Battista Vono, nati verso la fine del 1800 (1891 il primo e il 1898 il secondo) da una famiglia non molto agiata col padre che svolgeva l’attività del sarto e la mamma casalinga.
Frequentano le scuole elementari che il paese offre, ma non vanno oltre la quinta elementare anche se, successivamente, frequentano qualche corso scolastico serale di rafforzamento, ma niente di più anzi, il padre li indirizza subito al suo stesso mestiere con buoni profitti e propositi di miglioramenti per il primo, ma con scarsa voglia di fare per il secondo.
Giovan Battista infatti ha sempre avuto la passione del leggere e si appassionava volentieri alla lettura di romanzi classici, di tragedie e commedie di autori classici del tempo.
Giuseppe, divenne invece molto più intraprendente nel mestiere di sarto al quale lo aveva indirizzato il padre, provando anche a personalizzare i capi di abbigliamento che si trovava a cucire.
Smontava con pazienza abiti ben confezionati, ma dismessi, col solo scopo di carpire qualche trucco in più, e così facendo, acquisì una manualità tale da portarlo a vincere, più volte, premi di categoria.
Essendo fratelli, vivono lo stesso ambiente familiare, lo stesso ambiente di lavoro e le stesse difficoltà ambientali e sociali nonché politiche degli anni ’20 – ’30 – ’40.
Tempi di crisi  (Tempi infami) come viene denominata una raccolta delle loro poesie, e di “Male annate” come decantava uno dei due ed era proprio così che in realtà si presentavano i tempi da loro vissuti. È il periodo del governo fascista, con tentativi di emergere dalle macerie lasciate dalla prima guerra mondiale, ma le cose, anziché migliorare, peggioravano sempre più.
Nemmeno “la Terra” in quegli anni aiutava a vivere, perché si è rivelata poco benevola e poco prolifica di prodotti utili alla povera gente per fargli superare le crisi di fame e di povertà.
Era una vera lotta per la sopravvivenza e ci si ingegnava in tutti i modi possibili e immaginabili nell’intento di “tirare avanti”.
“Lu Tiempu de la crisi” e “Brutta annata” titolava Giovan Battista Vono due sue poesie, volendo significare proprio con questo il momento di difficoltà che stava attraversando la categoria dei Mastri, e non solo. Giuseppe, il più politicizzato dei due fratelli, portava avanti idee Socialiste, ma come suo fratello avverte “un’Aria de Truscia” e “Truscia” sottolineando anche lui i tempi che sono stati veramente “Infami”.  Un altro Mastro – Poeta, è certamente Mastro Peppino Senese, Calzolaio nonché attivista Socialista, che nasce nel 1909 e che, come gli altri, frequenta le scuole che offre il paese sotto la guida sapiente del Maestro Lo Russo prima e Vincenzo Sestito poi.
Amplia le sue conoscenze culturali frequentando la VI Classe che veniva proposta a partire dal 1905 in avanti.
Attraverso la Antologia “Giuseppe Senese Poesie”, pubblicata dal figlio prof. Francesco, scopriamo che la sua produzione è ampia e voluminosa, costituita addirittura di ben 63 volumi, tutti dattiloscritti, ognuno dei quali è costituito da un minimo di 150 pagine ed un massimo di 350.
Ha scritto di tutto tra poesie in lingua e dialettali.
Ha scritto Favole d’amore e testi teatrali, ma ha decantato soprattutto la sua fanciullezza, la sua giovinezza, l’amicizia e la natura rimanendo sempre con i piedi per terra, e trattando ogni cosa con assoluta umiltà così come umile e disponibile era di persona.

Aneddoti e Storie Nascoste

Introduzione – E quando. . .

Aneddoti e Storie Nascoste

Inizia una nuova sezione del nostro sito che propone storie e personaggi poco noti nella comunità curinghese quasi sempre trascurati e sottovalutati. 
Sono personaggi che sono apparsi, hanno vissuto la loro vita all’interno di questo paese, hanno operato e contribuito al benessere dello stesso, ed in punta di piedi ed in modo non palese, hanno lasciato la loro impronta con il loro sapere e con i loro aneddoti.
 Le storie iniziano sempre con “E quando. . . ” che costituisce l’input da cui partono e che vengono riportate in questa piccola raccolta che, bene o male, direttamente o indirettamente coinvolgono personaggi curinghesi o da protagonisti o da spettatori delle storie raccontate.
Alcune di queste storie riguardano il periodo anni 1950 – ‘60 per cui, tutto ciò che rappresento e che ricordo, fa parte di una realtà in parte vissuta e di una verità certa venuta fuori da appropriate ricerche.
Ce ne sono altre di storie che hanno avuto necessità di essere ricomposte con accuratezza e che quindi hanno richiesto maggiore attenzione e più approfondita ricerca nel comporre il puzzle finale.
In quest’ultimo caso, non si è trattato di andare alla ricerca di carte scritte o di consultare archivi particolari, ma piuttosto di conversazioni amichevoli mirate, con persone anziane, ma navigate alla vita, per potere carpire ciò che palesemente, non veniva mai detto e nemmeno fatto intendere.
Solo frasi da meditare, solo gesti da interpretare e, soprattutto, racconti apparentemente rivolti a persone ignote, ma che alla fine nascondevano proprio quei personaggi facenti parte delle ricerche.
Un lavoro certosino, ricomposto tessera dopo tessera, per risalire alla fine a storie nascoste nel tempo, soprattutto agli occhi più ingenui, dei più giovani e alla società circostante che, di storie nascoste e di eventi scandalistici, ne faceva il passatempo preferito per una vita che poco offriva.
E di queste storie se ne sentiva parlare sottovoce dal Barbiere o dal Calzolaio o dall’amico Sarto dove, nei pomeriggi invernali, soprattutto, ci si riuniva dopo una giornata di altro lavoro, per raccontare e raccontarsi, ma anche per apprendere quelle notizie che oggi, a livello nazionale vengono definite “di gossip”, ma che a livello locale ne costituivano il verbo del popolo, il suo passatempo non appreso dai giornali, ma semplicemente divulgato col passa parola.
“Lu sai ca . . . “, “Lu sapisti ca . . . “, “Lu vidisti arzira . . . “, “Ggha Mastru Giuanni ntisi dira ca . . . “.
Erano queste le forme usate per introdurre od esporre una storia o una notizia che si riteneva potesse interessare gli auditori del momento, e quando era presente un familiare o una persona coinvolta nella storia, si inventava al momento un altro nome fittizio, un altro luogo di ambientamento che non fosse il paese, fingendo di parlare di tutt’altro che di personaggi del posto.
In ultima analisi, quando ad essere presenti erano ragazzi ancora minorenni e non avvezzi a certi discorsi, ci si inventava la scusa di qualche incombenza da fargli svolgere proprio in quel momento, che poteva essere una brocca d’acqua da riempire a Tre Canali, o un sigaro da comprare al Sali e Tabacchi.
Ed i personaggi che raccontavano e che ascoltavano, il giorno dopo, si ritrovavano in altre botteghe del luogo per ampliare ed estendere il discorso del giorno prima, con l’aggiunta inevitabile di qualche altro particolare, e una ricostruzione sempre più ampia e sempre più colorita, evidenziando soprattutto l’aspetto comico, o serioso della situazione.
E a questi discorsi, a queste critiche, non sfuggiva nessuno perché, prima o poi, a rotazione, sarebbe arrivato il turno di tutti.
Il Muro del Passo, per Curinga, era un luogo tipico ed ideale per uno scambio di notizie di “gossip”, soprattutto perché non necessitava guardarsi alle spalle vista la posizione dei sedili e quindi si poteva, senza timore alcuno di potere essere ascoltati, esporre l’argomento, spettegolare e costruire di fantasia senza essere contraddetti.
Bastava, a volte, il passaggio in piazza di un determinato personaggio, di una determinata persona, ragazzo o ragazza che fosse, per dare il via a storie che spesso, di verità ne contenevano ben poca.
Ma era purtroppo questo il modo di apprendere, era questo il modo di forgiarsi alla vita e di venire a conoscenza di “verità nascoste” che, diversamente sarebbero svanite nel nulla con la morte degli stessi personaggi.
Questo ho cercato di fare nelle mie ricerche, discutendo e conversando con chi, la vita, la aveva vissuta.