Sottotenente Vincenzo Calvieri

Vincenzo Calvieri

Scheda completa di: Vincenzo Calvieri Sunt lacrimae


La Chiesa, che ha esperienza bimillenaria delle tre realtà, fa pregare: «A peste, fame et bello (guerra) libera nos, Domine ». Il re Davide, a suo tempo, non seppe cosa scegliere perché l’un flagello valeva l’altro. In guerra si muore, e muoiono i giovani, i giovani più validi. La lunga lista dei caduti comincia il 21 ottobre 1915 con il sottotenente ed ex seminarista, Vincenzo Calvieri; era nato il 21 nov. 1892. Nello stesso giorno la morte colse il venticinquenne Villelli Tommaso. L’ultima, ad armistizio concluso, sempre per causa di guerra, il soldato (ventidue anni) Mazza Francesco: 9 giugno 1921, ospedale militare di Bologna.

Telegrammi stereotipati affluivano sul tavolo del Sindaco: « Compiacesi comunicare dovute forme cautele famiglia che gloriosamente cadeva sul campo battaglia. Colonnello ».

Non vi era bisogno che il Sindaco entrasse in casa: la tragedia cominciava. Primo atto veramente vissuto: gramaglie per la vedova, per i genitori, pianto dei figli nel pianto di una famiglia. Secondo atto (oggi la definiremmo «farsa»). Lo trascrivo dalle Esequie del sottotenente Vincenzo Calvieri: «II corteo mosse dal Palazzo di Città, aperto da tutte le scolaresche maschili e femminili del Comune, recanti una corona di fiori e guidati dai rispettivi insegnanti; appresso la musica cittadina e quindi la Bandiera del Municpio, portata da un soldato ferito nell’odierna battaglia, fra quattro Carabinieri al comando del proprio Maresciallo, ed accompagnata dal Sindaco, dalla Giunta e dal Consiglio Comunale, dal Comitato di Assistenza Civile, dalla Società Operaia e dalla Società Indipendenza e lavoro e dal popolo. Giunto alla casa dell’estinto, dove la famiglia tenne pronto un simulacro di bara, avvolta in un drappo, con sopra le insegne del defunto, che, presa e portata da quattro giovani amici, reggendo i cordoni il sig. Antonino Senese presidente del Comitato di Assistenza Civile, il sindaco sig. Basilio Perugini, il sig. Bonaventura Bevilacqua e il dott. Domenico Lorusso, fu accompagnata alla Chiesa del Duomo, dove era stato eretto un degno catafalco, sul quale il finto tumulo fu deposto. Celebrata la messa solenne, benedetto il tumulo che rimase in Chiesa fra i ceri e le corone, terminate le belle parole di occasione pronunciate dall’arc. Caruso, il corteo riordinatesi come prima, fece sosta in piazza del popolo, dove furono pronunciati i discorsi di occasione e andò a sciogliersi al palazzo di Città »

(Cfr. In memoria di V. Calvieri, pp. 11-12). Quella cassa vuota portata da casa alla chiesa e posta tra ceri.
Sottotenente Vincenzo Calvieri

CENNI BIOGRAFICI

Vincenzo Calvieri nacque in Curinga il 21 novembre 1892 da Sebastiano e da Eleonora Minniti. — Costoro, con indefesso lavoro e continue privazioni, potettero provvedere per tempo alla educazione di lui che, dotato d’intelligenza non comune, aveva intrapreso la carriera ecclesiastica, come quella che alla sua epoca era la pili economica e perciò la più corrispondente agli scarsi mezzi pecuniari di cui la famiglia poteva disporre.

Da giovinetto, circondato dallo affetto dei suoi, cercò subito di meritarselo sempre più, ed attese a compiere la propria educazione ed istruzione con ogni diligenza e con grande amore guadagnandosi la stima dei maestri e dei compagni. Dei compagni pure, giacché mai da parte di alcuno egli è stato mai oggetto d’invidia; tanta era la sua modestia, la sua lealtà, il suo affetto per tutti.
Percorrendo così i primi anni nei Seminavi di Nicastro, Monteleone, Catanzaro e Bova, in ogni fine di anno scolastico egli intuiva la necessità di rendere legali i titoli dello studio fatto; ed all’insaputa del Seminario, ed all’insaputa della sua famiglia, dopo ottenuta la promozione di classe nelle scuole ecclesiastiche frequentate, avvalendosi dei suoi risparmi peculiari fatti durante un anno, pel pagamento delle tasse scolastiche, concorreva anno per anno agli esami delle Regie Scuole ginnasiali e liceali, ottenendone sempre la promozione e conservando i certificati legali relativi.
Per tale sua previggenza, appena chiamato al servizio militare, si trovò al caso di ascriversi agli allievi ufficiali, e con la rigida disciplina dell’esercito, seppe trovar modo e tempo di continuare i suoi studi tino a conseguire la licenza liceale, ed ipso facto presentarsi al concorso di esami di Sottotenente, vi conseguì la nomina, riuscendo il 3°. fra lutti i concorrenti. — Ed il 14 Agosto 1915, proveniente da Torino, vestito della sua nuova divisa di Sottotenente di Fanteria, per arrivare la sua nuova destinazione al 19°. Reggimento Fant. di stanza a Cosenza, vi passava dalla sua famiglia, formando visi sei giorni soltanto, valsi alla consolazione dei suoi vecchi genitori che videro con sì bel successo coronata l’opera loro.

Né il grado, né l’Autorità di Ufficiale dell’esercito lo avevano minimamente adulato, e nulla avea perduto di quella modestia ch’era stata sempre sua, nella casa di poveri agricoltori da cui proveniva; sicché tutti i cittadini indistintamente lo ebbero in grande stima, ed ammirandone le qualità, tutti, in quei sei giorni che ha dimorato in famiglia, vollero portargli personalmente lo più affettuose congratulazioni. —Egli sentivasi arrivato all’apoteosi dei suoi sogni, esternava con orgoglio i suoi sentimenti per la patria, anelava il momento di far parte, con la sua nuova divisa, tra le fila dei combattenti. — II 22 di Agosto si presentò al comando del suo Reggimento, raccomandandosi e piatendo di essere mandato dove tanti altri giovani suoi pari esponevano la propria vita per la grandezza della Patria.

Otto giorni ancora e l’ottenne!

Il 29 di Agosto, ritornò per 24 ore in famiglia a prendere commiato da tutti, ed il successivo giorno 30 partì per raggiungere il 141°. Regg. Fant. al quale fu destinato e che trovavasi in battaglia.
Dalla Zona di guerra egli scrisse la sua entrata il 16′ settembre, in trincea.
Non dovea più ritornare! Non è più ritornato! Le sue lettere, donde appariva la sua vocazione di rendersi utile alla grandezza della Patria; donde appariva tutto il suo eroismo contro il nemico d’Italia; donde appariva che tutto per lui era passato in seconda linea, affetti di famiglia, di parenti, di amici….. la sua giovinezza, la sua vita, il suo avvenire….. di fronte all’amor della gloria italiana…; le sue lettere impensierirono tutti, e tutti, trepidanti, attendevano ad ogni istante notizie di assicurazione sulla sorte di lui! E quelle sue lettere cessarono con la data del 20 Ottobre! Il 13 di quel mese scriveva ad un suo amico e parente Sig. Bruno Garofalo, queste righe fra le altre: « Intorno alla guerra, mio caro, cosa vuoi che ti dica, « le solite chiacchiere di giornali, i quali dicono tanto» di quelle cose che non sono mai avvenute.—Sul nostro « fronte, scontri ne avvengono tutti i giorni; ma sono « scontri parziali di poca importanza che finiscono « con la vittoria completa dei nostri, con poche perdite, dato il valore dei nostri bravi soldati, i quali « nel nostro Reggimento sono tutti calabresi. — E per « mia convinzione e constatazione dei fatti, posso assicurarti che valorosi come i nostri calabresi non ve ne sono.—Presto avremo il cambio ed anche si apriranno le licenze, quindi spero di riabbracciarti.— Certo tu sarai più trepidante di me per la mia stessa vita, poiché io che sono in continuo pericolo, neppure ci penso alla morte, assorto nel supremo pensiero di vincere e di condurre sul campo della gloria i miei « soldati. »

Ed il 18 dello stesso Ottobre scrisse ai suoi genitori ed al Garofalo:

Ai primi diceva : Sto bene, e mi auguro che anche voi tutti stiate bene. Mai come in questo momento sento il bisogno « di una paterna e materna benedizione che io con la presente chiedo. — Con 1′ augurio che questa benedizione mi giunga opportuna, tralascio di scrivere chiedendo la medesima ed abbracciando con affetto tutti, ecc.

Al Garofalo diceva : « Sto benissimo fino al momento, ma verso una « fase di gloria che spero di poterne usufruire col maggiore vantaggio possibile. — Credo che mi comprendi quel che voglio dire, e se ritardo a scrivere significa sto molto bene ed al sicuro e quindi cerca di non dimenticarti di un amico che ti ha sempre voluto bene. — Non posso dirti altro. — « Tralascio con l’augurio di poterti inviare altra mia..ecc. »

Ed allo stesso Garofalo l’indomani 19 ottobre scriveva altra cartolina: Carissimo, mentre il cannone tuona, io attendo il momento di lanciarmi all’assalto, alla vittoria — Viva l’Italia— Avanti—Saluti—V.»
La successiva mattina, 20 ottobre, ultimo giorno in cui scrisse, vergò a matita queste laconiche notizie, ai genitori ed al Garofalo: agli uni « 20-10-15 —Sto bene, chiedo S. benedizione — Vostro Vincenzo»; all’altro, « 20-10-15 Ancora sto benissimo— Saluti V.»

Furono le ultime!! Fu poscia il Comandante del 141 Regg. che in sua vece, più tardi, il 4 di novembre, telegrafò al Sindaco di Curinga:

« Compiacciasi comunicare dovute forme cautele « famiglia Sottotenente Calvieri Vincenzo che gloriosamente cadeva sul campo battaglia.

COLONNELLO THERMES

Egli cadde sul campo di gloria, colpito alla testa e al petto, il 21 Ottobre, durante uno dei più impetuosi assalti dati dalle nostre fanterie al Monte S. Michele.

Maestro Vincenzo Sestito

Vincenzo Sestito

Scheda completa di: VINCENZO SESTITO


Sono stato anch’io discepolo del maestro Vincenzo Sestito, sebbene abbia fruito dei suoi insegnamenti soltanto nell’ultimo anno della sua lunghissima carriera di docente, quando frequentavo la seconda classe elementare. Proprio quell’anno, alla veneranda età di settantatrè primavere – era nato a Curinga da Emanuele e Palma Votta il 5 luglio 1877 – lasciava l’insegamento colui che per oltre mezzo secolo era stato l’educatore per antonomasia, il simbolo di una scuola illuminante il cui spirito veniva interpretato con la coscienza che l’educazione e le conoscenze impartite nel corso della scuola elementare, per gli alunni, sarebbero rimaste, non considerando quelle naturali della famiglia e dell’ambiente, le uniche per tutta la vita Il suo nome era una garanzia ed un biglietto di visita di sicuro affidamento per chiunque avesse avuto bisogno di dar prova di una preparazione indiscutibile: “Ho conseguito la licenza elementare sotto la guida del maestro Sestito”, oppure, “Ho frequentato la ‘Sesta’ diretta dal maestro Vincenzino Sestito” potevano essere le frasi guida su cui poteva scivolare più fluido il colloquio d’esami per l’accesso ad un impiego o ad una carica di responsabilità che richiedessero cultura generale vasta e competenze specifiche sicure.

Un mito per generazioni e generazioni di allievi!

Era il 1950 quando cedeva il testimone del suo magistero educativo certamente ad uno dei più degni allievi ed erede spirituale, il prof. Vincenzo Sgromo, che ne ha continuato l’opera con lo stesso zelo, la stessa abnegazione e lo stesso impegno nel trasmettere agli alunni tutti quegli insegnamenti che sarebbero stati capaci di recepire con l’intento di dotare le loro menti e i loro cuori d’inesauribili risorse capaci di assicurar loro successo in qualsivoglia campo operativo si fossero cimentati.
Ogni qualvolta la mia mente rivisita quel periodo, mi balza sempre davanti agli occhi della memoria quella sua figura ascetica che puntualmente ogni mattina appariva gradatamente da dietro il muricciolo che costeggia via Serra di Ciancio e si stagliava per breve tempo nel sole, affiorante alle spalle da dietro i tetti, i cui raggi ne disegnavano per un attimo i contorni del busto con un merletto di luce, prima che egli entrasse nella fascia d’ombra proiettata dal vetusto palazzo Panzarella, posto nell’angolo di confluenza di detta strada con via Notarcola. Allora la sua figura risultava più percepibile per il contrasto tra il nero del cappello e della giacca ed il bianco della camicia, con l’immancabile colletto di seta lucida e inamidata, cui si aggiungevano i candidissimi baffi che accendevano il rosa delle sue guance ineccepibilmente rasate. La maestosità del suo portamento e l’eleganza del suo incedere erano espressione di equilibrio interiore che penetrava chiunque entrava in rapporto con lui.

Si avvertiva intanto il rumore sommesso dei suoi passi misurati e lenti, ma sicuri, sul selciato perché all’esclamazione “il maestro!” del compagno che per primo intravedeva gli inconfondibili tratti di quella ieratica andatura, tutti ci premuravamo di assumere compostezza e silenziosa posizione di attesa rotta dal corale “buongiorno, signor maestro!” cui seguiva il frenetico assieparci all’entrata.
E come la porta si schiudeva venivamo investiti da un’onda intensa di profumo di matita che si sprigionava dall’aula come se le pareti, dopo averlo assorbito per tutto il giorno, durante la notte lo avessero riciclato per lanciarcelo addosso con la delicata violenza di una manciata di petali olezzanti. Quell’odore pungente di scuola ci penetrava l’anima e sollecitava in noi, non senza una stretta al cuore, fiduciosa euforia, sicurezza, speranza infinita nell’avvenire.

Il tono pacato e suadente della sua voce accompagnava la giornata scolastica costantemente illuminata dai suoi interventi esplicativi precisi, trasmessi con parole semplici, ma scandite sempre con una chiarezza unica, intrisa di carezzevole, vellutata sonorità, ed enunciate con una maestosità sacerdotale che conferiva prestigiosa autorevolezza ad ogni insegnamento ed un senso di diffusa austerità a quell’ineffabile atmosfera di laboriosa, serena collaborazione. Nello stesso tempo, c’infondeva nell’animo gioia d’apprendere, passione per lo studio, inebriante desiderio di luce, voglia irrefrenabile di sublimare la dimensione della nostra vita attraverso il sapere. Quel vibrato accento che caratterizzava il suo dire evocava in noi misteriose risonanze che si fondevano all’impercettibile fruscìo di tènere fantasie veleggianti verso arcani mondi, eccitavano suggestive sensazioni di magiche promesse…

Si operava circonfusi da un alone di paterna presenza, stimolante e protettiva, consacrato dalla grande venerazione nostra per lui. Venerazione che trovava riscontro nelle famiglie poiché, nella maggior parte dei casi, egli era stato l’educatore dei fratelli più grandi o dei padri stessi per cui a casa si veniva iniziati al culto del maestro.

“Severo”, “rigoroso” sono le valutazioni ricorrenti che mi colpiscono quando sento parlare di lui, anche se accompagnate puntualmente, ora a note chiare ora velate, da espressioni di profonda ammirazione, di immensa gratitudine e di commovente devozione. Eppure io di lui conservo nitida la memoria di una figura deamicisiana di maestro.

Tra i ricordi indelebili rimane la rituale, mattutina integrazione dell’inchiostro nei calamai fissati allo scrittoio: era l’unico insegnante a sollevare gli scolari dall’incomodo peso di portare da casa la caratteristica boccettina contenente il nero liquido in cui intingere la penna, che puntualmente, nei casi più fortunati, ci macchiava soltanto le mani.

Se qualche alunno si assentava a lungo perché ammalato, si recava a fargli visita ed esortava anche noi a fare altrettanto. Procurava egli stesso, forse attraverso l’ente comunale per l’assistenza, flaconi di vitamine che faceva sorbire personalmente ad alcuni compagni che, specialmente nei periodi di convalescenza o di particolare debilitazione, avevano bisogno di qualche ricostituente.
E che dire dell’accoglienza che riservava, in tempi molto più tristi, come mi ha più volte raccontato l’amico Giulio Perugino, suo genero, ai ragazzi che arrivavano da Montesoro dopo aver guadato il torrente Turrino ed essersi inerpicati per l’erta mulattiera che da Pomillo sfocia in via Roma, proprio dietro l’abside della chiesa Matrice. Nelle giornate particolarmente rigide e piovose dell’inverno li attendeva sull’uscio e li ospitava in casa, intirizziti e spesso fradici di pioggia, perché si ristorassero al tepore del camino, senza tralasciare di offrir loro qualche tazza di latte caldo e qualche biscotto.
Eccelleva, il maestro Sestito, in un’altra attività che svolgeva nel tempo libero con valentia perchè le opere che ha lasciato sono di eccezionale pregio artistico, non solo storico e sociale. Intendo del suo interesse per la fotografia cui si dedicava con passione e straordinaria competenza tanto da organizzare in una stanza della sua abitazione un attrezzatissimo laboratorio per lo sviluppo e la stampa delle istantanee. Numerose sono le foto che ci sono pervenute e la loro qualità ci autorizza a definirle dei veri e propri capolavori per tecnica di esecuzione, nitidezza d’immagine, soggetto di ripresa. Rappresentano, inoltre, rare e significative tessere di lettura della vita sociale, culturale ed economica del tempo, vale a dire, della storia del nostro paese, documenti preziosi e indispensabili per il recupero della memoria del nostro passato.

Coadiuvava il dott. Sebastiano Serrao, ufficiale sanitario del Comune, soprattutto durante la campagna di distribuzione dell’antimalarico Gullo, preparato dal farmacista curinghese dott. Sebastiano S. T. Gullo, nel periodo in cui l’anofele imperversava nella piana di Santa Eufemia Lamezia: alcune fotografie di straordinaria eloquenza si riferiscono a questo servizio sociale reso, con encomiabile spirito missionario, in favore delle nostre popolazioni.

Si distingueva ancora per la facondia e le capacità oratorie e il suo dire assumeva toni solenni e commoventi allorquando si celebravano eventi patriottici o si esaltavano le meritorie opere di qualche persona defunta, i relativi pregi, le sue virtù. Tesseva gli elogi funebri con parole ispirate e toccanti che suscitavano emozioni profonde e consolatrici.

Fu indefesso promotore di iniziative di grande interesse culturale e sociale. Diede il suo autorevole e qualificato contributo alle rappresentazioni teatrali della Compagnia Filodrammatica della nostra cittadina di cui, forse, fu anche uno dei fondatori. Organizzava gli spettacoli, guidava gli attori, suggeriva le battute, svolgeva, più semplicemente, la funzione del regista.
Subito dopo la Grande Guerra, guidò il Comitato che si costituì con lo specifico intento di far erigere il monumento ai figli di Curinga caduti per la Patria, monumento innalzato nella villa comunale ed inaugurato nel 1924

In quello stesso periodo, si occupò di bachicoltura e fece importare semi di ottima qualità propagandando fra la gente sistemi più razionali di allevamento che richiedevano la costruzione di appositi graticci e l’uso di carta da parati. Le innovazioni caldeggiate non riscontrarono il favore degli allevatori per i costi elevati, soprattutto se si considera che la produzione della seta era limitata all’uso familiare e solo per assicurare alcuni pregiati capi di corredo alle ragazze prossime alle nozze.
Dopo il suo ritiro dall’insegnamento, suggellato dal conferimento della medaglia d’argento da parte del Ministero della Pubblica Istruzione, ha continuato ad impegnarsi ancora in campo sociale, ma, gradualmente, com’è nell’ordine naturale dell’esistenza umana, le sue apparizioni ufficiali vanno rarefacendosi. Col passare degli anni le sue sortite si riducono alle quotidiane passeggiate costellate di innumerevoli, brevi soste per rispondere, alla sua maniera, ai saluti riverenti di quasi tutti i Curinghesi: si informava della loro salute e di quella dei familiari, del loro lavoro, della carriera scolastica dei figli o della loro attività… rievocando qualche particolare relativo alla vita scolastica di ciascuno o qualche significativo aneddoto, a conferma della sua brillante lucidità mentale, della sua formidabile memoria.

Ma, all’improvviso, inesorabilmente gli eventi precipitano:un mese dopo aver festeggiato l’ottantasettesimo compleanno, colpito da ictus cerebrale, si spegne in casa della figlia Maria, a Catanzaro.
È il 6 agosto 1964.

La salma viene traslata a Curinga dove, nella più austera semplicità si svolgono i funerali.
La cittadinanza tutta accompagna all’ultima dimora il Maestro: è un’oceanica, matura scolaresca che si snoda dietro la bara in silenzio, un silenzio religioso imperlato a tratti di sincere, commosse lacrime: con lui se ne stava andando un lembo di cuore di ciascun curinghese.
Martino Granata.